Quantcast
Channel: ARTBOOMS
Viewing all 1177 articles
Browse latest View live

Azuma Makoto ha spedito bonsai ed elaborate composizioni floreali negli abissi oceanici

$
0
0
amk-3.jpg

L’artista giapponese Azuma Makoto, che ha fatto delle piante il centro della sua ricerca artistica, ha recentemente portato a termine “Bloom” il suo ultimo progetto. Neanche a dirlo si tratta di un opera che il mondo vegetale non apprezzerebbe affatto.

Azuma Makoto, infatti, che già ha lanciato bouquet nello spazio, bruciato enormi composizioni floreali, intrappolato fiori recisi in cubi di ghiaccio, questa volta ha deciso di lanciare uno splendido bonsai e quattro preziosi bouquet sul fondo dell’oceano.

L’opera a cavallo tra installazione e performance ha richiesto tre anni di pianificazione e preparazione. La maggior parte di questo periodo è servita ad ottenere le autorizzazioni necessarie dal governo per calare per oltre 1 chilometro e mezzo le piante nelle acque della baia di Suruga. I fiori erano contenuti in strutture lineari ed essenziali che oltre ad avere lo scopo di proteggerli, hanno permesso all’artista di documentare con precisione la spettacolare perormance (le strutture erano dotate di luce e attrezzatura fotografica).

“I fiori saranno inghiottiti dall'oscurità dei fondali marini, dove non brilla un solo raggio di luce" ha spiegato Azuma Makoto. L’artista, ha poi ricordato come il fondo dei mari sia il territorio più inospitale del pianeta carente com’è d’ossigeno e che per questo resta tutt’oggi in gran parte inesplorato (solo il 5% è stato mappato).

Nelle immagini insieme alle piante di Makoto e allo spoglio fondale sottomarino compaiono pesci e altre creature più o meno conosciute che abitano gli abissi.  

Per vedere nuove fotografie e di “Bloom” o di altre performance in cui Azuma Makoto maltratta poveri vegetali inermi c’è il suo sito internet oltre agli account Instagram e Facebook,

amk-4.jpg amk-6.jpg amk-5.jpg amk-10.jpg amk-13.jpg amk-7.jpg amk-8.jpg amk-11.jpg amk-12.jpg amk-14.jpg amk-15.jpg amk-2.jpg amk-1.jpg amk.jpg

Fino a domani al cinema c'è Loving Vincent, il primo film dipinto interamente ad olio su tela

$
0
0

Da ieri fino a domani soltanto, nelle sale cinematografiche italiane verrà proiettato l’atteso film d’animazione britannico-polacco ‘Loving Vincent’. Il lungometraggio, dedicato a Vincent Van Gogh edipinto interamente ad olio su tela.

I numeri di ‘Loving Vincent’ sono impressionanti: 6 anni di sviluppo creativo, oltre mille quadri, 62mila e 450 fotogrammi, ognuno dei quali dipinto a mano da 115 pittori professionisti provenienti da tutto il mondo. 

“Quando cominci a fare sul serio- ha detto a BBC il regista Hugh Welcham- per un progetto così e’ solo questione di quanti pittori puoi trovare; e se puoi trovare abbastanza pittori che raggiungano il livello qualitativo richiesto”.

Scritto e diretto da Dorota Kobiela e Hugh Welchman, ‘Loving Vincent’ è stato realizzato in gran parte in rotoscope. Ovvero, prima di tutto il film è stato girato in modo tradizionale (mixando però fotografia e animazione per un miglior risultato come viene spiegato nel video in fondo) e poi i fotogrammi sono stati copiati e interpretati dai pittori.

"Era stato pensato per essere un cortometraggio di sette minuti e si è trasformato in un film"- ha spiegato, sempre a BBC, Dorota Kobiela -"Non potevo più dipingere da sola perché questo mi avrebbe portato via 80 anni”.

‘Loving Vincent’ è stato prodotto dalla polacca BreakThru Films e dall’inglese Trademark Films. Per renderlo più coinvolgente si è scelto di giocarlo sul filo del mistero (la morte di Van Gogh non ha mai convinto il narratore ). In Italia sarà nei cinema appunto dal 16 al 18 ottobre. Per altre informazioni su questo lungometraggio animato fuori dall’ordinario oltre al sito ufficiale ci sono gli account Twitter e Facebook. Sopra trovate il trailer ufficiale.

loving-vincent-Vincent (Robert Gulaczyk) in colour.jpg vincent-4.gif loving-vincent-Vincent (Robert Gulaczyk) painting in the rain.jpg loving-vincent-Adeline Ravoux (Eleanor Tomlinson) folding napkins at the Ravoux Inn.jpg vincent-1.gif loving-vincent-Night Café, Arles Lt Milliet (Robin Hodges) and Armand Roulin (Douglas Booth).jpg

Chi è Kehinde Wiley, l’artista scelto da Obama per il suo ritratto ufficiale

$
0
0
All photos courtesy Keynde Wiley

All photos courtesy Keynde Wiley

Sarà l’artista afro-americano Kehinde Wiley a dipingere Barack Obama per la Smithsonian National Gallery of Portraits (cioè il museo di Washington dove sono conservati i ritratti ufficiali dei 44 presidenti degli Stati Uniti). Una scelta che è stata salutata con interesse da molti perché Wiley sarà il primo pittore nero a entrare nella famosa galleria ma anche perché il suo stile è meno formale degli altri chiamati a portare a termine questo compito prima di lui.

Ma chi è Kehinde Wiley? Dalle interviste che ha rilasciato nel corso del tempo sembra emergere un’osservatore della realtà, curioso e riflessivo. Di certo è uno che di strada ne ha fatta parecchia.

Nato a Los Angeles nel ‘77 è stato cresciuto, insieme a 5 fratelli, da una madre single. “A South Central Los Angeles alla fine degli anni '80- spiega nel suo sito internet- (…)  [c’erano] la violenza, il comportamento antisociale, le strade in fiamme. Sono stato fortunato perché mia madre era molto concentrata a tenerne fuori me, mio fratello gemello e gli altri. Nei week-end volevo andare a lezione d'arte presso un conservatorio. Dopo la scuola, rimanevamo chiusi in casa. Era qualcosa che odiavo, ovviamente, ma alla fine è stato un salvavita.” Insomma tempi duri: “Ricordo quando dovevo lottare per comprare i colori - ha dichiarato a Canadianart- e quando dovevo lasciare che le dimensioni delle cose che facevo fossero determinate da ciò che potevo permettermi.” 

Adesso Kehinde Wiley ha al suo attivo i ritratti di alcune delle star più splendenti  nel firmamento della musica nera come il rapper Ice T, Notorius B.I.G. o Michael Jackson. Ma anche di personaggi dello sport e dello spettacolo. Nella serie “An economy of Grace” le sue modelle indossano costumi nati da una collaborazione con Givenchy. E, alla notizia che sarebbe stato Wiley a occuparsi del ritratto ufficiale di Obama, la sua amica Chelsea Clinton ha festeggiato con un allegro tweet di congratulazioni.

L’artista ha cominciato ritraendo uomini afro-americani presi dalla strada nelle pose dei modelli degli antichi Maestri. Con il tempo ha dipinto anche personaggi famosi, donne e persone di colore di altri paesi. A rimanere inalterato è il mix di Storia dell’Arte e contemporaneità (espressa soprattutto attraverso i soggetti e l’abbigliamento). I motivi decorativi dai colori sgargianti che fanno da sfondo a gran parte dei suoi quadri, infine, possono essere indifferentemente presi da una carta da parati attuale o dalle piastrelle di un’antica moschea. 
I suoi quadri sollevano interrogativi e aprono spazi di riflessione su razza e genere. In merito l’artista ha dichiarato a Vice: In un certo senso, siamo tutti vittime della misoginia e del razzismo che esistono nel mondo, non importa quale sia il nostro genere o razza.”

Anche se i suoi quadri più noti sono quelli dei personaggi famosi, il progetto più importante degli ultimi anni è “The World Stage” in cui ha viaggiato in tutto il mondo (dalla Nigeria alla Cina, aprendo studi in loco e trasferendo il team di assistenti che lavorano per lui) per raccontare soprattutto la globalizzazione.

Il ritratto ufficiale di Barack Obama verrà inaugurato nel 2018. Le opere di Kehinde Wiley e Amy Sherald (scelta per rappresentare Michelle) saranno i primi lavori di artisti afro-americani a entrare nella galleria di presidenti dellaSmithsonian National Gallery of Portraits (si può visitare anche online qui). 

Kehinde-Wiley-01 Kehinde-Wiley-02 Kehinde-Wiley-03 Kehinde-Wiley-04 Kehinde-Wiley-05 Kehinde-Wiley-06 Kehinde-Wiley-07 Kehinde-Wiley-08

Le atmosfere sospese e i colori vibranti delle fotografie di Maria Svarbova. Tra piscine sovietiche e nuotatrici vintage

$
0
0
all images © Maria Svarbova

all images © Maria Svarbova

Le immagini scattate (e adeguatamente photoshoppate) della fotografa slovacca Maria Svarbova regalano all’osservatore una sensazione di assoluta tranquillità. Ritraggono delle nuotatrici, uguali tra loro e intente a fare gli stessi movimenti in piscine d’epoca sovietica.

Come graziosi automi abbigliati in stile vintage che si muovono in un mondo che non conosce il caos.

Questa serie, intitolata appunto “In the Swimming Pool” è la più vasta e longeva della Svarbova (cominciata nel 2014 continua a tutt’oggi). Per realizzarla la fotografa ha mixato elementi tipici degli scatti pubblicitari e della scenografia cinematografica con un po’ di foto documentaria (ogni immagine è stata catturata in una diversa piscina d’epoca sovietica).

“La sterile, geometrica bellezza delle vecchie piscine setta il tono di queste fotografie- scrive Maria Svarbovasul suo sito web - Ognuna ritrae una diversa piscina, solitamente costruita nell’era socialista, in varie locations della Sloacchia”.

Di “In the Swimming Pool” colpisce la spersonalizzata bellezza delle figure che si ripetono eseguendo movimenti prevedibili e misurati (come in una parata militare), ma anche la forza vibrante dei colori. Oltre all’atmosfera di assoluta tranquillità appena increspata da una nota ironica.

Per vedere altre fotografie della serie “In the Swimming Pool” di Maria Svarbova ci sono i suoi account Instagram e Behance oltre al libro “The Swimming Pools Book” che l’artista ha realizzato con The New Eroes and Pioneers ed è attualmente in fase di pre-ordine. (via Colossal)

maria-svarbova-swimming-pool-12.jpg MariaSarbova_08-1024x1024.jpg maria-svarbova-swimming-pool-02.jpg maria-svarbova-swimming-pool-08.jpg maria-svarbova-swimming-pool-04.jpg maria-svarbova-swimming-pool-05.jpg maria-svarbova-swimming-pool-07.jpg maria-svarbova-swimming-pool-06.jpg maria-svarbova-swimming-pool-03.jpg maria-svarbova-swimming-pool-11.jpg

Alle Isole Vergini la barriera corallina avrà la forma di un Kraken e altre bizzarre creature gigantesche

$
0
0
kodiak_queen_06.jpg

Un kraken, ovvero un gigantesco polpo in rete metallica avvinghiato a una vera petroliera, lo scorso aprile ha inaugurato un parco scultoreo sottomarino alle Isole Vergini Britanniche. 
Sul poroso mostro marino e sulle statue che lo seguiranno verrà coltivato il corallo cosi che la barriera nel tempo assumerà la forma di una sequenza di bizzarre creature. 
Il progetto si chiama ‘BVI Art Reef’, e può sembrare fantasioso, ma in un colpo solo si propone di incrementare il turismo e riportare equilibrio nell’ecosistema della barriera corallina. Oltre a fornire un centro di istruzione all’avanguardia per i ricercatori.

‘BVI Art Reef’ nasce quando il fotografo Owen Buggy vede una vecchia nave per il trasporto di combustibile sull’Isola di Tortola. Decide di salvarla dalla rottamazione. E in collaborazione con Sir Richard Branson, la noprofit Unite BVI, al gruppo di artisti e scienziati Secret Samurai Prodution, al network americano a supporto dell’innovazione sostenibile Maverick 1000 e all’associazione senza scopo di lucro per l’educazione oceanica Beneath the waves, la restaura, la rimette in mare con la grande piovra metallica che la cinge e la affonda.

Quest’ultimo passaggio ha richiesto il lavoro della Commercial Dive Services (l’azienda delle Isole Vergini è incredibilmente attrezzata per risolvere i più svariati problemi di sicurezza sottomarini) ma alla fine la barca e la scultura sono state sommerse sulla costa dell’isola Virgin Gorda.

"È previsto che entro un breve lasso di tempo la nave e l’opera d’arte attireranno una miriade di creature marine", ha detto Clive Petrovic che si occupa dell'impatto ambientale per la BVI Art Reef. "Tutto, da coralli a spugne marine, squali e tartarughe, vivrà in, e intorno al relitto. La nave diventerà preziosa per la futura ricerca da parte degli scienziati e degli studenti locali ".

kodiak_queen_07.jpg KodiakQueen_01.jpg kodiak_queen_09.jpg KodiakQueen_03.jpg KodiakQueen_04.jpg

La costruzione del kraken e l’affondamento della nave sono al centro del documentario del giovane film maker Robert Sorrenti attualmente in post-produzione (sotto un estratto in inglese). Per informazioni su come visitare il BVI Art Reef e le sue sculture sottomarine ci sono il sito del progetto e l’account Facebook. (via Colossal)

Biennale di Venezia| Roberto Cuoghi trasforma il Padiglione Italia in una fabbrica di… mummie ammuffite

$
0
0
Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Il mondo magico” (Padiglione Italia della Biennale di Venezia) è un’esposizione assolutamente equilibrata. Un meccanismo perfetto. C’è lo spazio buio, intimo, secolare e minimale di Giorgio Andreatta Calò, con la sua distesa d’acqua scura che riflette ondeggiando lievemente l’architettura dell’Arsenale (‘Senza titolo (La fine del mondo)’). C’è Adelita Husny-Bey con il suo video ‘The reading\La seduta’ in cui pensiero magico e razionalità si confrontano in un mix di creatività e partecipazione.  Ma soprattutto c’è Roberto Cuoghi con la sua ‘Imitazione di Cristo’.

In ‘Imitazione di Cristo’ Cuoghi ha trasformato la sua porzione di Arsenale in una fabbrica di figure devozionali. E non intendo dire che l’artista ha simulato una filiera produttiva ma che l’ha proprio installata e messa in funzione. C’è tutto, perfino una macchina per stabilizzare le sculture che somiglia a una grande lavatrice. 

L’opera – un’ officina predisposta per la realizzazione integrale delle sculture, dal colaggio di materiale organico in un unico stampo fino alla fase di consolidamento – spiegano gli organizzatori sul sito del Padiglione Italia- non si esaurisce con l’apertura della mostra e perdura secondo una logica di decomposizione e composizione, morte e rigenerazione. L’intero processo è concepito per non ottenere mai lo stesso risultato, producendo una dissociazione che sembra riguardare il nostro presente.

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Marco De Scalzi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Marco De Scalzi, Courtesy Roberto Cuoghi

Questa complessa e scenografica installazione, ispirata dall’antico testo ascetico Imitatio Christi, cita la Storia dell’Arte negli anni bui del Medioevo ma prende anche in prestito le atmosfere di certi film di fantascienza. E persino di molti fumetti.
A farla, infine, sconfinare nel horror sono soprattutto le muffe che coprono ogni scultura e si modificano con il processo produttivo prima e con lo scorrere del tempo poi. Alla fine le sue immagini devozionali sono un po’ reliquie, un po’ mummie e poco sculture. 

Tutto è stato concepito per essere molto impressionante. Non per colpire allo stomaco, sia ben chiaro. ‘Imitazione di Cristo’ di Roberto Cuoghi attira l’attenzione, cala lo spettatore in un’atmosfera cinematografica, cupa, ma non lo spaventa davvero, non sconvolge neppure, lo disturbara però.

“L’artista interpreta [Imitatio Christi] alla luce di quello che definisce un “nuovo materialismo tecnologico”- continua il sito internet de Un Mondo Magico- Cuoghi ci introduce a un processo sperimentale di modellazione della materia, riflettendo al contempo sul potere magico delle immagini, sulla forza della ripetizione e sulla memoria iconografica della storia dell’arte.”

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Una delle opere più famose degli esordi di Roberto Cuoghi è una performance in cui si è finto suo padre. Performance per modo di dire, visto che dopo essere ingrassato 40 chili ed essersi tinto i capelli di bianco ha continuato a interpretare il suo personaggio nella vita di tutti i giorni, per due anni interi. Ovviamente le persone lo trattavano in modo completamente diverso solo perché credevano avesse un’altra età. Da allora non ha perso la capacità di arrivare alla radice degli stereotipi e delle nostre convinzioni illusorie per indurci a riflettere e prenderci anche un po’ in giro. Ma stavolta è serio mentre ci parla di vita, morte, passato, futuro, storia dell‘arte e fede.

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Il Padiglione Italia della Biennale di Venezia con l’esposizione ‘Il mondo magico’ è curato da Cecilia Alemani. E’ all’Arsenale e sarà visibile per poco tempo ancora (fino al 26 di novembre).

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Roberto Cuoghi, Imitazione di Cristo, 2017; Photo Roberto Marossi, Courtesy Roberto Cuoghi

Toshihiko Shibuya ha creato un mosaico drammatico ed evocativo con i fiori le piante raccolti nella selvaggia natura di Hokkaido

$
0
0
New White Collection- Black Boxes series; All photo Courtesy Toshihiko Shibuya

New White Collection- Black Boxes series; All photo Courtesy Toshihiko Shibuya

Durante l’estate l’artista giapponese Toshihiko Shibuya (di cui ho parlato qui, qui e qui) ha raccolto fragili fiori, foglie e soffioni per farli seccare. Poi, senza modificarli in alcun modo, li ha messi in tante piccole teche nere. Formando una sorta di erbario drammatico ed evocativo. 
Un mosaico dedicato alla selvaggia natura dell’isola di Hokkaido.

Toshihiko Shibuya vive a Sapporo ma per realizzare le sue installazioni si sposta spesso nelle aree più incontaminate e ricche di biodiversità dell’estremo nord del Giappone. Quest’anno ha vinto il premio ‘Hokkaido Culture Encouragement Prize’.

Ma con questa serie di opere (‘New white collection’, ‘Black boxe series’) Shibuya non vuole attirare la nostra attenzione su piante rare o esotiche ma sulle specie più semplici e rustiche che vivono intorno a noi. E crescono silenziose persino nelle nostre città (in molti casi a oriente come ad occidente).

“I temi del mio lavoro- dice- sono le simbiosi, la coesistenza e la circolazione della vita. Penso che questo sia il mezzo per far riscoprire alle persone la piccola natura che sta sotto i nostri piedi”.

Il lavoro di Toshihiko Shibuya si può collocare nel solco della ‘Land art’ ma il suo approccio alla natura, al contrario di molti artisti che hanno fatto parte dello storico movimento o che ad essi si sono ispirati, è rivolto verso ciò che è piccolo e potrebbe passare inosservato: i fiori più comuni, il muschio di un ruscello, la neve che si scioglie o aumenta di volume modificando il paesaggio. In questo senso il lavoro dell’artista è una ricerca sulla nostra percezione. Un invito alla lentezza e all’attenzione.

Nella ‘New white collection’, l’artista non modifica in alcun modo le piante. Si limita a fissarle, con infinita cura, ben attento a non rovinarle, a tante piccole teche. Il fondo nero, tuttavia, le rende drammatiche come fotografie di posa. E ci invita a riflettere, mentre catturiamo immagini con i nostri smartphone e postiamo tutto sui social, sulla differenza che passa tra oggettività e punto di vista. 

Fino al 29 ottobre la 'White Collection-Black box series' di Toshihiko Shibuya sarà in mostra al 'TO OV café gallery', ma per seguire il lavoro dell'artista giapponese non serve andare così lontano perchè oltre al suo sito internet ci sono gli account Facebook ed Instagram.

toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-01 toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-02 toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-11 Beehives(1000).jpg toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-05 toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-06 toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-07 toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-07 toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-08 toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-09 toshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-10 IMG_20171021_005121_867(1000).jpgtoshihiko-shibuya-white-collection-black-boxes-12

Gli enormi dipinti iperrealisti di Tigran Tsitoghdzya che sembrano dei surreali ritratti fotografici in bianco e nero

$
0
0
Tigran Tsitoghdzya, Mirror V (Ayna V), 2017, Olio su tela 190x127 cm. photo by Gallery77

Tigran Tsitoghdzya, Mirror V (Ayna V), 2017, Olio su tela 190x127 cm. photo by Gallery77

Quando si guardano le opere di Tigran Tsitoghdzya si pensa che l’artista armeno si sia limitato a sovrapporre delle fotografie. Belle immagini da rivista patinata in bianco e nero, fuse insieme chissà come da un computer. Salvo poi avvicinarsi e scoprire che si tratta di dipinti iperrealisti.

Tigran Tsitoghdzya usa prevalentemente la pittura ad olio su tela e lavora su grandi formati con pennelli minuscoli con cui riproduce ogni ruga, ogni piega della pelle, ogni capello del soggetto che sta ritraendo. A rendere ancora più certosino questo lavoro ci si mette il fatto che non usa colori: solo bianco, nero e sfumature di grigio varie.

Nella serie “Mirrors” (che è la più famosa e più vasta) l’artista ritrae delle persone con le mani sul viso, ma le mani sono trasparenti e il volto del soggetto si mostra in tutta la sua espressività. Secondo Tigran questa scelta serve a sottolineare che i suoi sono ritratti psicologici e non maschere.

In realtà le immagini sanno di rivista patinata, potrebbero tranquillamente stare su un periodico di moda, e più che ritrarre il soggetto in maniera cruda sembrano ritratti dei ritratti fotografici che qualcuno ha fatto al soggetto (idealizzandolo). Anche così comunque sempre di gioco di specchi si parla.
Inutile dire che questi quadri citano in modo più o meno esplicito il Surrealismo.

Recentemente Tigran Tsitoghdzyaha partecipato alla dodicesima edizione della fiera d’arte Contemporary Istanbul (CI) con la galleria turca Galeri 77. Per vedere altre opere di questo pittore armeno trapiantato a New York e magari farsi un idea più precisa del processo meticoloso che lo porta a realizzare questi dipinti si possono consultare i suoi account Facebook ed Instagram.

Tigran Tsitoghdzya, Mirror V, 2014, Olio su tela 190x127 cm. photo by Tigran Tsitoghdzya

Tigran Tsitoghdzya, Mirror V, 2014, Olio su tela 190x127 cm. photo by Tigran Tsitoghdzya

Tigran Tsitoghdzya, Black Mirror, 2013, Olio su tela 190x127 cm. photo by Tigran Tsitoghdzya

Tigran Tsitoghdzya, Black Mirror, 2013, Olio su tela 190x127 cm. photo by Tigran Tsitoghdzya

Tigran Tsitoghdzya, Mirror 0 (Ayna 0), 2017, Olio su tela 190x127 cm photo by Galeri 77

Tigran Tsitoghdzya, Mirror 0 (Ayna 0), 2017, Olio su tela 190x127 cm photo by Galeri 77

Tigran Tsitoghdzya, Mirror, 2012, Olio su tela 254x178 cm photo by Tigran Tsitoghdzya

Tigran Tsitoghdzya, Mirror, 2012, Olio su tela 254x178 cm photo by Tigran Tsitoghdzya

Tigran Tsitoghdzya, Mirror, Olio su tela

Tigran Tsitoghdzya, Mirror, Olio su tela


Le intricate sculture di Eunsuh Choi fatte da centinaia di bastoncini di vetro lavorati a lume e intrecciati

$
0
0
choi-7.jpg

L’artista coreana Eun Suh Choi crea delle sculture di vetro aggraziate e complesse, caratterizzate da con un tocco infantile; giocoso.

Sono di medie dimensioni, costruite come fossero castelli di carte, sovrapponendo ed incastrando tra loro centinaia di fragili bastoncini lavorati a mano.

A livello concettuale Eun Suh Choitratta i concetti di aspirazione ed ambizione (che sono la base per un progresso costante, anche se fragile).

"Il mio lavoro si concentra specificamente sul desiderio di comunicare il fluire aggraziato delle nostre tensioni emotive attraverso il mezzo plastico del vetro lavorato a lume"- dice in un’intervista rilasciata alla rivista americana Habitat-“Mi piace lavorare con la scultura, utilizzando la forma e l’atmosfera che la circonda per ritrarre le storie che si basano sull’incontro dell’uomo con successo e fallimento nel perseguimento dell’ambizione personale.”

A vederle tuttavia, le sculture, sembrano elaborati prodotti della grafica 3d sviluppati con un tocco glamour. Non certo il minuzioso risultato di una pratica artigianale paziente e antica.  La Choi, infatti, usa l’antica tecnica della lavorazione a lume del vetro.
Per vedere altre opere di Eun Suh Choi e saperne di più su di lei, oltre al suo sito si può ricorrere alla Gallery Sklo o ad Habitat Fine Art. (via Colossal)

choi-5.jpg choi-2.jpg Forbidden-Rights.jpg choi-9.jpg Forbidden-Rights-detail.jpg choi-6.jpg choi-3.jpg choi-4.jpg choi-8.jpg

Le case infestate d’America dove la paura fa 90 non solo ad Halloween by Misty Keasler

$
0
0
Misty Keasler, “Black Thorne Manor, Terror on the Fox, Green Bay, WI” (2016), archival pigment print, 60 × 60 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Black Thorne Manor, Terror on the Fox, Green Bay, WI” (2016), archival pigment print, 60 × 60 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Il fotografo statunitense Misty Keasler ha visitato 13 case infestate sparse per l’America del nord (serie 'Haunt') per esplorare la paura attraverso le immagini. E come in ogni film horror che si rispetti è entrato solo quando le case erano chiuse al pubblico.

Infatti tutti gli edifici visitati da Keasler per un motivo o per l’altro sono diventati dei musei dedicati al mistero e all’orrore. Con tanto odori, suoni e persino figuranti che si nascondono negli angoli per saltar fuori al momento opportuno e spaventare i visitatori. Altre propongono elaborti spettacoli a tema che ad Halloween raggiungono l'apice.

Anche quando tutti questi elementi riservati al pubblico non sono presenti, le case infestate americane sono riempite di design scenografico, che nelle intenzioni di chi le ha allestite dovrebbe far paura. Ma che nella pratica è spesso il ripetersi di clichè visivi che fanno sorridere.

"Ho scoperto che le foto più interessanti e intriganti erano quelle che non erano focalizzate sullo spettacolo della stanza, ma su ciò che era appena fuori" ha dichiarato Misty Keasler a Hyperallergic "Queste immagini erano spesso le più inquientanti. Avrebbe anche potuto esserci una trama che però era impossibile mettere insieme, ma potevi dire che qualcosa non era giusto ".

Queste fotografie di Misty Keasler come la precedente serie dedicata agli alberghi per appuntamenti giapponesi (‘Love Hotels’, 2006) vuole arrivare a capire chi ha progettato questi spazi e per chi. Finendo per fare un ritratto delle paure di un popolo e della loro banalizzazione o spettacolarizzazione, a seconda dei casi, per scopi commerciali.

La serie ’Haunt’ di Misty Keasler è attualmente in mostra al  ‘Modern Art Museum of Fort Worth’ (in Texas). La maggior parte delle fotografie sono state anche pubblicate in un libro. Per vedere altre immagini scattate dal fotografo statunitense ci sono comunque il suo sito internet e l’account instagram (via  Hyperallergic)

Misty Keasler, “Trophy Room, Bates Motel, Glen Mills, PA” (2016), archival pigment print, 42 × 42 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Trophy Room, Bates Motel, Glen Mills, PA” (2016), archival pigment print, 42 × 42 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Darkroom, Headless Horseman Haunted House, Ulster Park, NY” (2016), archival pigment print, 30 × 30 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Darkroom, Headless Horseman Haunted House, Ulster Park, NY” (2016), archival pigment print, 30 × 30 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Boudoir, ScareHouse, Pittsburgh, PA” (2016), archival pigment print, 30 × 30 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Boudoir, ScareHouse, Pittsburgh, PA” (2016), archival pigment print, 30 × 30 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Electroshock Therapy, Pennhurst Asylum, Spring City, PA” (2016), archival pigment print, 42 × 42 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Electroshock Therapy, Pennhurst Asylum, Spring City, PA” (2016), archival pigment print, 42 × 42 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Kitchen, Terror on the Fox, Green Bay, WI” (2016), archival pigment print, 42 × 42 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Misty Keasler, “Kitchen, Terror on the Fox, Green Bay, WI” (2016), archival pigment print, 42 × 42 inches (courtesy the artist and the Public Trust)

Installation view of Misty Keasler: Haunt at the Modern Art Museum of Fort Worth (courtesy the Modern Art Museum of Fort Worth)

Installation view of Misty Keasler: Haunt at the Modern Art Museum of Fort Worth (courtesy the Modern Art Museum of Fort Worth)

Biennale di Venezia| Il Padiglione Cinese. sfavillante di ottimismo e zeppo di tradizioni, che inquieta gli occidentali

$
0
0
'Continuum-Generation by Generation', Padiglione Cina, Biennale di Venezia, Installation view

'Continuum-Generation by Generation', Padiglione Cina, Biennale di Venezia, Installation view

Il padiglione cinese della Biennale di Venezia con la mostra ‘Continuum – Generation by Generation’ è una festa di sollecitazioni, colori e curiosità. Sfavillante e ottimista. Ma anche inquietante (per noi occidentali ovviamente).
Il tema dell’esposizione è il ’Bu Xi’ ovvero il perpetuarsi delle cose in un ciclo rotatorio continuo e incessante (ad esempio il passato è la radice del futuro che si volge a guardare il passato e via discorrendo) simile ai concetti di ying e yang tipici della cultura cinese.
‘Continuum – Generation by Generation’  è curata Qiu Zhijie

Qiu Zhijie

Qiu Zhijie

Qiu Zhijie: E’ un artista e un teorico di fama già conosciuto in Italia (ha lavorato molto con il Museo Pecci di Prato ed esempio). Ha il chiodo fisso delle mappe: “Di solito il mio metodo è quasi sempre basato sul realizzare mappe- ha dichiarato in un’ intervista rilasciata al giornale del Centro Pecci- che diventano poi uno strumento di ricerca su vari argomenti.”
Questo tema ricorrente delle sue opere per cui è amatissimo ha influenzato molto il Padiglione Cina da lui curato. Che a prima vista in effetti risulta difficile da leggere. O meglio dà l’impressione di essere ricco a livello visivo ma disordinato concettualmente. In realtà è perché la mostra è stata immaginata non linearmente ma come si fosse trattato di una rete di idee con frecce che vanno avanti e indietro da una all’altra.

Installation view

Installation view

Gli artisti che riempiono la mostra con le loro opere sono quattro (più lo stesso Qiu Zhijie che è appunto anche artista): Yao Huifen (o Lady Yao), Wang Tianwen, Tang Nannan e Wu Jian’an
E si dividono in due gruppi: arti applicate tradizionali (Yao Huifen, Wang Tianwen) e arte contemporanea (Tang Nannan e Wu Jian’an).

Due artisti tradizionali e due artisti che utilizzano i linguaggi contemporanei delle arti visive-spiega il comunicato stampa- sono stati scelti per rappresentare il significato di questa narrazione. Artigianato e opere d’arte contemporanea si influenzano a vicenda.”

Yao Huifen, The skeleton fantasy show, 2017

Yao Huifen, The skeleton fantasy show, 2017

Yao Huifen (o Lady Yao): è una ricamatrice impressionante. Figlia di maestri del ricamo a loro volta figli di ricamatori e così via per diverse generazioni. Oltre a padroneggiare le tecniche tradizionali cinesi ne ha inventate parecchie. Alcuni suoi lavori sono conservati al British Museum. E non a caso, visto che è in grado si riprodurre tutti i dipinti che si trovano sui libri di storia dell’arte dalla Gioconda alle opere a inchiostro degli antichi pittori cinesi. Per il Padiglione Cina ha ricamato ‘Skeleton Fantasy Show’ di Li Song (X – XI Sec.), “attraverso l’utilizzo di oltre un centinaio di tecniche diverse”. (!!!). Ha collaborato anche con l’artista contemporaneo Tang Nannan per la realizzazione di un’opera in mostra.

Wang Tianwen, Wu Jian’an, Tang Nannan, Yao Huifen, Continuum-Removing the Mountains and Filling the Sea, Shadow play screen, 2015

Wang Tianwen, Wu Jian’an, Tang Nannan, Yao Huifen, Continuum-Removing the Mountains and Filling the Sea, Shadow play screen, 2015

Wang Tianwen: Maestro nella complessa ed antichissima arte del teatro delle ombre, che richiede la creazione delle figure lavorando la pelle secondo tecniche precise e i fondali su cui si muovono i personaggi. Oltre ad esporre delle cose sue ha collaborato con Tang Nannan per la creazione di un’opera.

Tang Nannan, The southern under world, 2017

Tang Nannan, The southern under world, 2017

Tang Nannan: E’ un’artista contemporaneo che usa diversi medium dalla tradizionale pittura a inchiostro al video alla fotografia e alle animazioni su schermi multipli. Per il padiglione ha usato inchiostro e animazione.

Wu Jian’an, The birth of the galaxy, 2012

Wu Jian’an, The birth of the galaxy, 2012

Wu Jian’an: Artista contemporaneo anche lui ,capace di spaziare dalla pittura alla scultura all’installazione. Ma il suo pezzo forte sono i collage di carta intagliata su grandi tele. Inutile dire che colpiscono per la pazienza dell’esecuzione. Per la Biennale ha realizzato delle sculture dorate e delle tele che da lontano davano l’impressione di essere state dipinte con campiture di colore puro, da vicino si scopriva invece che la superficie era stata completamente ricoperta da migliaia di figure in carta intagliata incollate l’una sull’altra.

Collaboration of Tang Nannan with Yao Huifen, Oblivious Ocean, 2017

Collaboration of Tang Nannan with Yao Huifen, Oblivious Ocean, 2017

Le immagini antitetiche ‘montagna/mare’ e ‘antico/nuovo’, che nel loro insieme rappresentano l’equilibrio perfetto dello ‘Yin/Yang’ cinesi-continua il comunicato- costituiscono la cornice entro la quale di sviluppa il percorso espositivo. Due favole cinesi molto note, Il vecchio sciocco che rimuove le montagne e Jingwei che riempie il mare, saranno il serbatoio immaginifico da cui ricavare visioni corrispondenti ai concetti di ‘montagna’ e ‘mare’”. 
Entrambe le fiabe parlano dell’incrollabile volontà del popolo cinese e della sua paziente testardaggine nel raggiungere gli obbiettivi che si è prefissato. Concetti che nella mente di un’occidentale creano una involontaria quanto persistente inquietudine.

Tang Nannan, The southern under world, 2017; photo: Artbooms

Tang Nannan, The southern under world, 2017; photo: Artbooms

Può essere che il Padiglione Cina ‘Continuum – Generation by Generation’ della 57esima Biennale d’arte di Venezia vi sembri confuso ma difficilmente non vi piacerà. Come la mostra ‘VIVA ARTE VIVA’ e gli altri padiglioni nazionali sarà possibile vederlo fino al 26 di novembre

Collaboration of Tang Nannan and Wang Tianwen, Happy excursion series, 2017

Collaboration of Tang Nannan and Wang Tianwen, Happy excursion series, 2017

Yao Huifen, The skeleton fantasy show (particolare del ricamo), 2017; Photo: Artbooms

Yao Huifen, The skeleton fantasy show (particolare del ricamo), 2017; Photo: Artbooms

Wang Tianwen, Wu Jian’an, Tang Nannan, Yao Huifen, Continuum-Removing the Mountains and Filling the Sea, Shadow play screen, 2015

Wang Tianwen, Wu Jian’an, Tang Nannan, Yao Huifen, Continuum-Removing the Mountains and Filling the Sea, Shadow play screen, 2015

Wu Jian’an, The birth of the galaxy (particolare), 2012; Photo: Artbooms

Wu Jian’an, The birth of the galaxy (particolare), 2012; Photo: Artbooms

Tang Nannan, Oblivious ocean 7

Tang Nannan, Oblivious ocean 7

Wang Tianwen, Wu Jian’an, Tang Nannan, Yao Huifen, Continuum-Removing the Mountains and Filling the Sea (particolare), Shadow play screen, 2015; Photo: Artbooms

Wang Tianwen, Wu Jian’an, Tang Nannan, Yao Huifen, Continuum-Removing the Mountains and Filling the Sea (particolare), Shadow play screen, 2015; Photo: Artbooms

Tang Nannan, Marrow Return, 2017

Tang Nannan, Marrow Return, 2017

Le verdure digitali che suonano ed emettono luci colorate in una serra ultra-tech al centro di Tokyo

$
0
0
verdure-digitali-tokyo-midtown

Nel bel mezzo del complesso immobiliare Tokyo Midtown c’è una serra che si illumina di tutti i colori della scala cromatica e suona pure. Le melodie e gli effetti luminosi sono sempre diversi e ad attivarli sono i visitatori. O meglio i visitatori che toccano le verdure digitali.

Non è una singolare forma di antifurto ma la trovata dei designers dello studio giapponese PARTY in occasione del Design Touch Festival 2017. Che hanno pensato di rendere digitali delle comunissime verdure (carote, pomodori, cavoli).

Ogni pianta è stata collegata a dei sensori che l’hanno resa sensibile al tocco. La serra è piuttosto grande e le verdure che vi sono state posizionate sono tante e ognuna di esse attiva una sinfonia di luci e suoni diversa.

L’idea era quella di integrare i sensi che, secondo i designers, noi usiamo di più quando ci troviamo di fronte a delle verdure (tatto e olfatto), con quelli che, sempre a loro parere, lasciamo inoperosi (vista e udito). E di farlo con luci e suoni studiati per evocare una caratteristica di ogni specie.

"Suoni di semi che sfregano. Suoni di foglie toccate. Suoni frutta mangiata ", afferma Ray Kunimoto, progettista sonoro delle verdure digitali. "Ho registrato i suoni creati con delle verdure vere e proprie. Poi sul computer li ho mescolati con i suoni degli strumenti dell'orchestra per farne 7 melodie diverse ".

Così ogni vegetale attiva una melodia diversa. I pomodori fanno suonare un violino, le carote danno fiato alle trombe e i cavoli riempiono l’aria con le vibrazioni dell’oboe. Insieme tutte queste verdure, per tutto il periodo dell’installazione, anziché un minestrone faranno concerti sempre diversi.

La serra delle verdure digitali si può visitare gratuitamente fino al 5 novembre. Per farlo però bisogna arrivare al Tokyo Midtown o limitarsi a dare uno sguardo al brevissimo video qui sotto. (via Spoon and Tamago)

serra-verdure-digitali-midtown-tokyo verdure-digitali-midtown-tokyo-01 verdure-digitali-midtown-tokyo-02 verdure-digitali-midtown-tokyo-03

Cai Guo-Quiang l’artista che dipinge con la polvere da sparo fa scintille al Museo del Prado

$
0
0
accensione della pittura a polvere da sparo, "spirit of paiting" di cai guo-quiang al salón de reinos, madrid, 2017  immagine © museo nacional del prado

accensione della pittura a polvere da sparo, "spirit of paiting" di cai guo-quiang al salón de reinos, madrid, 2017  immagine © museo nacional del prado

Le opere dell’artista Cai Guo-Quiang sono come spettacoli pirotecnici. Anzi a volte sono proprio spettacoli pirotecnici. Perché Cai Guo-Quiang da trent’anni racconta il mondo di oggi e di ieri, le contraddizioni e i dilemmi filosofici dell’uomo contemporaneo, con gli esplosivi. 
Il suo preferito è la polvere da sparo con cui riesce a produrre enormi dipinti ricchi di particolari, spesso citando i grandi maestri del passato.

E’ il caso della sua ultima mostra ‘Spirit of paiting’, in corso al Museo del Prado (fino al 4 marzo 2018), in cui Cai Guo-Quiang ha creato otto dipinti ispirandosi alla collezione madrilena e in particolare a El Greco, per cui Cai nutre una passione di vecchia data.

cai guo-quiang durante l'accensione della polvere da sparo al salón de reinos, madrid, 2017; immagine © museo nacional del prado

cai guo-quiang durante l'accensione della polvere da sparo al salón de reinos, madrid, 2017; immagine © museo nacional del prado

Per quanto i dipinti con la polvere da sparo siano il suo marchio di fabbrica, Cai Guo-Quiang usa una vasta rosa di medium espressivi (installazioni, video, performance) con cui realizza delle opere semplici e spettacolari. Si serve dell’aiuto di decine di assistenti (esperti di calligrafia, scultori cinesi, pescatori giapponesi, scalatori di roccia) e riesce sempre a conquistare il pubblico. 

Ma anche la critica che, per esempio, nel 1999 l’ha premiato  con  il leone d’oro alla Biennale di Venezia.

'salon de reinos', cai guo-qiang, polvere da sparo su tela, 360 x 600 cm 2017; courtesy © museo nacional del prado

'salon de reinos', cai guo-qiang, polvere da sparo su tela, 360 x 600 cm 2017; courtesy © museo nacional del prado

‘Spirit of paiting’ però focalizza la sua attenzione sul solo percorso pittorico dell’artista cinese attualmente residente a New York. Ci sono dipinti ad olio e acrilico su tela creati da Guo-Quiang  all’inizio della sua carriera. Ma anche schizzi rari e disegni su scatole di fiammiferi del padre Cai Ruiqin, maestro di calligrafia e pittore tradizionale, che guidò il figlio nei primi anni della carriera.
Cai Guo-Quiang  ha anche creato otto opere in esclusiva per la mostra al Museo del Prado. Per farlo è rimasto qualche settimana a Madrid e ha usato la ‘Sala dei Regni(Salón de Reinos) o ‘Sala Grande’ (che in realtà è un edificio a parte, recentemente acquisito dal Prado) come studio. La residenza dell’artista cinese si è conclusa con la realizzazione-performance (si è svolta davanti al pubblico) del monumentale dipinto ‘Spirit of paiting’ (18 metri di lunghezza per 3 di altezza).

immagine delle gallerie espositive "spirit of paiting. cai guo-qiang at the prado '; photo by wen-you cai, courtesy cai studio

immagine delle gallerie espositive "spirit of paiting. cai guo-qiang at the prado '; photo by wen-you cai, courtesy cai studio

Il corpo di lavori dipinti con la polvere da sparo, come dice il titolo, è ispirato allo spirito dei pittori che occupano il museo con la loro opera senza tempo. Ma il vero obbiettivo della mostra (come nel caso di ‘Ai Weiwei: Libero’ a Palazzo Strozzi) era creare un dialogo tra il lavoro di Cai Guo-Quiang  e il patrimonio conservato nel museo madrileno.

Una sala della personale è stata dedicata alla proiezione del documentario della regista spagnola Isabel Coixet (girato proprio in occasione dell’evento) che spiegherà ai visitatori come fa Cai Guo-Quiang  a dipingere con la polvere da sparo e perché lo fa. Per chi non andrà a vederla ho inserito un breve video (in fondo) in cui l’artista parla dei suoi dipinti con la polvere da sparo. (via Designboom

‘the distant clouds’, cai guo-qiang, polvere da sparo su tele, 240 x 200 cm, 2017; courtesy © museo nacional del prado

‘the distant clouds’, cai guo-qiang, polvere da sparo su tele, 240 x 200 cm, 2017; courtesy © museo nacional del prado

imagine delle galllerie espositive della mostra ‘the spirit of painting. cai guo-qiang at the prado’; photo by wen-you cai, courtesy cai studio

imagine delle galllerie espositive della mostra ‘the spirit of painting. cai guo-qiang at the prado’; photo by wen-you cai, courtesy cai studio

'day and night in toledo', cai guo-qiang polvere da sparo su tele, 260 x 600 cm 2017; courtesy © museo nacional del prado

'day and night in toledo', cai guo-qiang polvere da sparo su tele, 260 x 600 cm 2017; courtesy © museo nacional del prado

cai guo-qiang durante la creazione del dipinto a polvere da sparo 'day and night in toledo' al salón de reinos, madrid, 2017; © museo nacional del prado

cai guo-qiang durante la creazione del dipinto a polvere da sparo 'day and night in toledo' al salón de reinos, madrid, 2017; © museo nacional del prado

‘alchemist’, cai guo-qiang, polvere da sparo su tela, 240 x 200 cm, 2017; courtesy © museo nacional del prado

‘alchemist’, cai guo-qiang, polvere da sparo su tela, 240 x 200 cm, 2017; courtesy © museo nacional del prado

cai guo-qiang e i volontari posizionano gli stencils per il dipinto a polvere da sparo 'day and night in toledo' al salón de reinos, madrid, 2017; © museo nacional del prado

cai guo-qiang e i volontari posizionano gli stencils per il dipinto a polvere da sparo 'day and night in toledo' al salón de reinos, madrid, 2017; © museo nacional del prado

Guarda questo dipinto del’600 riprendere vita sotto i tuoi occhi, dopo essere stato liberato da 300 anni di sporcizia

$
0
0
restauro-dipinto-via-tweeter

A postare questo breve video su Twitter è stato Philip Mould, storico d’arte, mercante e conduttore di un programma culto sulla BBC (‘Fake o Fortune?’ giunto alla sua sesta edizione). Il filmato mostra lo stesso Mould mentre rimuove con solvente e tampone i danni provocati da 300 anni di polvere su un ritratto femminile datato 1618. Un’idea semplice se vogliamo, che ha avuto un successo travolgente.

Il tweet di Mould si è guadagnato oltre 190mila like, 77mila retweet, e un numero di visualizzazioni stupefacente (ben oltre 7 milioni e mezzo mentre scrivo).
150000 like & 7,5 milioni di impressioni dopo (e ancora in crescita)-scrive- la nostra signora in rosso (#womaninred ndr) sta facendo la storia dell’arte di Twitter”.

Curiosamente in tempi di branding delle opere d’arte, del dipinto si sa poco o niente. E’ inglese, datato 1618 e la donna che vi è ritratta è stata effigiata quando aveva 36 anni. Punto.

Philip Mould invece oltremanica (e non solo) è una vera e propria celebrità. Specializzato in arte british (la vende, la studia e la restaura pure) ha all’attivo due libri di grande successo (che per qualche motivo a me ignoto non sono stati tradotti in italiano), un figlio e un cucciolo di nome Cedric. 
E’ stato consigliere artistico per il Palazzo di Westmister e, durante questo periodo, ha ritrovato, sparse per il globo, circa 200 opere storicamente e politicamente rilevanti per l’istituzione britannica. E se non bastasse, nel curriculum di Philip Mould, c’è anche la scoperta di 5 dipinti di Van Dick perduti.

L’opera al centro del video-tweet, invece, era stata coperta dall’autore con un finish protettivo di pittura che nel corso del tempo aveva assorbito polvere e sporcizia fino a diventare giallo. Mould non ha fatto altro che rimuoverlo riprendendo l‘operazione con un telefonino.  Il successo di quest’operazione dovrebbe insegnare qualcosa a molti che dovrebbero avere il compito di promuovere mostre e musei. Ma che invece di divulgare la Storia dell’arte si impegnano nell’allontanare l’interesse del pubblico e magari nel facilitare lo sbadiglio.

Per vedere l’immagine della #womaninred di Philip Mould a pulizia completata o seguire le sue cacce al tesoro e le sue avventure a sfondo artistico si può seguire il suo Twitter. (via Colossal

LadyinRed_01.jpg particolare-abito-ladyinred philip-mould-ritratto-pulito

L’artista Serge Attukwei Clottey che crea tessuti tradizionali africani con bidoni abbandonati e vecchi pneumatici

$
0
0
Serge Attukwei Clottey, I Shall Return, 2016, plastics, wire and oil paint, 104'' x 56'' , courtesy the artist and Gallery 1957

Serge Attukwei Clottey, I Shall Return, 2016, plastics, wire and oil paint, 104'' x 56'' , courtesy the artist and Gallery 1957

Le sculture di Serge Attukwei Clottey viste da lontano sembrano tessuti in cui prevalgono i toni del giallo e dell’ocra. Un po’ come le stoffe che a volte si vedono addosso alle donne africane. Ma avvicinandosi si scopre che l’artista ghanese ha raccolto, tagliato e cucito tra loro bidoni e taniche abbandonati.

Tagliando, forando, cucendo e fondendo materiali trovati- scrive del lavoro di Clottery la Galleria 1957- le installazioni scultoree di Clottey sono assemblaggi audaci che fungono da strumento per indagare sulle lingue della forma e dell'astrazione.”

Ovviamente Clottery parla di recupero e riutilizzo dei rifiuti della società di massa e della tradizione artistica e culturale del suo Paese che si tramanda attraverso i tessuti africani, come il kente. Ma anche della globalizzazione e del ruolo del Ghana in questo contesto.

A volte Serge Attukwei Clottey interviene con del colore sui quadratini di plastica a volte li accosta soltanto. Con cura, come fossero tessere di un mosaico. Bidoni e taniche gialli sono i suoi materiali preferiti ma spesso usa anche sacchi di iuta, pneumatici usati e pezzi di legno
La storia che l’artista racconta attraverso le sue bizzarre stoffe prende le mosse dal passato per poi parlare del presente.

“(…) Altre opere si riferiscono ai codici a barre e mostrano i caratteri cinesi in riferimento all’emergere di nuove strutture di potere in Ghana.

All’inizio di ottobre il lavoro di Serge Attukwei Clottey insieme a quello di altri artisti africani è stato esposto a Londra dalla Galleria 1957 di Accara in occasione della ‘1:54Contemporary African Art Fair’. Per saperne di più sui suoi tessuti di rifiuti e sulle sue pittoresche performance c’è il suo blog.

Serge Attukwei Clottey, Voices Demanding, 2016, plastics, wire and oil paint, 64''x 64'', courtesy the artist and Gallery 1957

Serge Attukwei Clottey, Voices Demanding, 2016, plastics, wire and oil paint, 64''x 64'', courtesy the artist and Gallery 1957

Serge Attukwei Clottey, Intents and Purposes, 2016, plastics, wire and oil paint, 53''x 75'', courtesy the artist and Gallery 1957

Serge Attukwei Clottey, Intents and Purposes, 2016, plastics, wire and oil paint, 53''x 75'', courtesy the artist and Gallery 1957

Serge Attukwei Clottey, Packed Community, 2016, plastics, wire and oil paint, 60'' x 78'', courtesy the artist and Gallery 1957

Serge Attukwei Clottey, Packed Community, 2016, plastics, wire and oil paint, 60'' x 78'', courtesy the artist and Gallery 1957

Serge Attukwei Clottey, Preventable Accident, 2016, plastics, wire and oil paint, 50'' x 72'', courtesy the artist and Gallery 1957

Serge Attukwei Clottey, Preventable Accident, 2016, plastics, wire and oil paint, 50'' x 72'', courtesy the artist and Gallery 1957


I fiori di vetro e le creature marine dei Blaschka, ancora oggi indistinguibili dagli originali

$
0
0
Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College. via Artsy

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College. via Artsy

Quella di Leopold e Rudolf Blaschka sarebbe una bella storia per un film. Padre e figlio, vissuti a Dresda tra la seconda metà dell’800 e i primi decenni dell’900, crearono sculture in vetro lavorato a lume per i musei di storia naturale di tutto il mondo. 
Oltre 10mila modelli di creature marine e piante talmente accurati da essere indistinguibili dagli originali.

Molto conosciuti all’inizio della carriera per le riproduzioni di animali dei fondali, i Blaschka vennero consegnati alla Storia dalla monumentale collezione di fiori di vetro conosciuta come ‘Ware Collection’ del Museo di Storia Naturale della Harvard University, che impegnò, prima entrambi poi il solo Rudolf, dal 1887 al 1936. 

Il problema con i fiori di vetro di Leopold e Rudolf Blaschka, spiega il professore di botanica Donald H. Pfister della Harvard University, è che sono troppo realistici.
"Una volta fotografati, sembrano solo piante", dice ad Artsy "Allora, come fai a fare un libro fotografico che permette alle persone di sapere che questi sono in realtà modelli di vetro?"

Pare che anche il primo direttore del Museo Botanico di Harvard, George Lincoln Goodale, si sia lasciato ingannare dall’abilità artigianale dei Blaschka e arrivato a casa loro abbia scambiato un mazzo di orchidee di vetro per dei veri rami recisi. 

Vista oggi la specializzazione dei Blaschka può sembrare strana, ma all’epoca conservare invertebrati marini e piante era un cruccio per le università e i musei. Così quando i Blaschka cominciarono a produrre i primi modelli in vetro tutti facevano a gara per accaparrarseli. Tanto più che le loro abilità era leggendaria.
Ad oggi anzi la sensibilità creativa di Leopold e Rudolf Blaschka resta imbattuta secondo il manager della Ware Collection, Jennifer Brown, che spiega (sempre ad Artsy) come nessun concorso in ricordo dei maestri di Dresda abbia portato ad un manufatto degno degli originali. "Alcuni hanno più successo di altri. Ma non è lo stesso"

Le sale che ospitano la Ware Collection, fresche di una recente ristrutturazione, in questo periodo focalizzano l’attenzione degli spettatori sulle mele (con la mostra "Rotten Apples: Botanical Models of Diversity and Disease’). Partendo dai modelli di mele che Rudolf Blaschka inviò, ormai ottantenne, nella sua ultima cassa di modelli.

I fiori di vetro della 'Ware Collection' di Harvard sono indubbiamente  il progetto più noto dei Blaschka ma anche alcune delle loro creature marine sono di straordinaria verosimiglianza. E hanno il vantaggio di poter essere osservate dal vivo senza spingersi fino negli Stati Uniti. Visto che Il Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa possiede ben 51 modelli di invertebrati marini anatomicamente perfetti firmati da Leopold e Rudolf Blaschka. 

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

Courtesy Harvard University Herbaria. © President & Fellows Harvard College.

L’artista Asad Raza ha trasformato una chiesa cinquecentesca di Milano in un campo da tennis

$
0
0
Asad Raza, 'Untitled (plot for dialogue), spazio Converso, chiesa di San Paolo, Milano, all images © andrea rossetti

Asad Raza, 'Untitled (plot for dialogue), spazio Converso, chiesa di San Paolo, Milano, all images © andrea rossetti

Per visitare la mostra personale dello statunitense Asad Raza, ‘Untitled (plot for dialogue)’, a Milano bisogna essere persone sportive. Dato che l’artista ha pensato di trasformare gli interni della chiesa di San Paolo (sede dello spazio Converso) in un campo da tennis di un bell’arancione vivace. Con tanto di allenatori.

Raza continua la sua esplorazione dei modi di abitare uno spazio ricorrendo a pratiche d’interazione tra esseri umani, esseri non umani e oggetti”. Insomma secondo Asad Raza se si spingono le persone a interagire tra loro e con l’ambiente circostante l’esperienza che ne nasce sarà in qualche modo memorabile e illuminate. Va da se che per produrre quest’effetto lo spazio scelto qualche sorpresa dovrà ben riservarla. Così Asad Raza ha pensato di ridare vita agli interni cinquecenteschi, riccamente decorati ma un po’ cupi, della chiesa sconsacrata di San Paolo e togliere i visitatori dal timore riverenziale, con il gioco del tennis. 

L’artista spiega questa scelta con una serie di immagini cariche di pathos: i giocatori si scambiano energia, la palla che vola da una parte all’altra induce uno stato meditativo, il movimento è indistinguibile dalla vita stessa, lo svago contrapposto al tendere unicamente verso il lavoro. In realtà Raza ha scelto il tennis, o meglio un gioco simile al tennis, perché è uno sport che ama e conosce bene (oltre a praticarlo ne ha scritto in più riprese).

L’artista riconfigura la chiesa- un luogo destinato alla ricezione di messaggi di autorità spirituali- in uno spazio di scambio diretto e svago”. Sullo sfondo la bellezza architettonica dell’edificio costruito tra il 1549 e il 1619, dalla storia lunga e variegata ( sconsacrato già dall’800 tra gli anni ‘60 e gli anni ‘80 è stato uno studio di registrazione in cui hanno cantato Maria Callas e Mina, oggi ospita lo studio di architettura CLS) e gli affreschi dei fratelli Campi che illustrano la vita di San Paolo.

Si può fare un salto alla personale di Asad Raza fino al 16 dicembre. I più pigri possono sempre rifiutare la racchetta e bersi un bel thè al gelsomino alla salute dell‘artista.  (via Designboom)

asad-raza-untitled-tennis-03.jpg asad-raza-untitled-tennis-07.jpg asad-raza-untitled-tennis-02.jpg asad-raza-untitled-tennis-01.jpg asad-raza-untitled-tennis-05.jpg asad-raza-untitled-tennis-04.jpg

Come colorati circuiti elettrici gli ombrelloni della Versilia nella fotografia aerea di Bernhard Lang

$
0
0
Bernhard Lang, Aerial Views, Versilia; all photos Courtesy Bernhard Lang

Bernhard Lang, Aerial Views, Versilia; all photos Courtesy Bernhard Lang

Il fotografo tedesco Bernhard Lang (di cui ho già parlato qui e qui) ha recentemente ultimato la serie ‘Versilia’. Gli scatti, si focalizzano sul litorale toscano, ripreso dal cielo durante il periodo estivo. La particolarità di queste immagini però è che sembrano ritrarre dei colorati circuiti elettrici anziché ombrelloni e bagnanti.
‘Versilia’ fa parte del ciclo ‘Aerial Views’ in cui Bernhard Lang indaga con la fotografia aerea il mutamento della percezione con il cambiare del punto di vista. I sui scatti non di rado rasentano l’astrattismo ma molto spesso svelano immagini più o meno casuali, altrimenti invisibili, tracciate dal ripetersi degli elementi che l’uomo ha collocato arbitrariamente nel paesaggio.

Gli interessa a trovare patterns e strutture, che a volte sembrano dipinti astratti- è scritto sul sito internet di Lang a proposito di ’Aerial Views’-Bernhard ha anche sviluppato un particolare interesse per il catturare immagini che mostrano l'impatto delle attività umane sulla natura e sull'ambiente.”

Secondo il fotografo di Monaco l’intervento dell’uomo sul paesaggio può essere letto in due modi: “Da una parte c’è una bellezza formale o comunque un ordine piacevole, ma sull’altro piatto della bilancia c’è la trasformazione o decostruzione della natura originaria”.

Per fare tutto questo Lang non è tipo che si risparmia. Niente droni per lui. Le foto le scatta alla vecchia maniera, macchina alla mano. Solo che invece di essere con i piedi per terra usa aerei ultraleggeri o elicotteri e non di rado deve sporgersi in modo avventuroso per trovare l’angolazione perfetta.
La serie ‘Versilia’ non è la prima dedicata da Bernhard Lang al paesaggio italiano: è sempre di quest’anno quella in cui effigiava le cave di marmo di Carrara, mentre nel 2014 ha ritratto la costa tra Rimini e Riccione.

Rispetto al litorale Adriatico l’area che compare in ‘Versilia’ è ordinata in maniera meno ripetitiva e dozzinale. E’ anche chiaro che lo spazio vitale lasciato a disposizione dei bagnanti è più ampio.

Per vedere altre fotografie aeree di Bernhard Lang, della serie ‘Versilia’ o di altre raccolte del ciclo ‘Aerial views’ ci sono il suo sito internet e il suo account Behance e quello instagram

b-lang-01.jpg b-lang-06.jpg b-lang-07.jpg b-lang-05.jpg b-lang-08.jpg b-lang-02.jpg b-lang-04.jpg b-lang-03.jpg

La ricamatrice Yao Huifen che ha riprodotto la Gioconda con ago e filo

$
0
0
Mona Lisa (Leonardo da Vinci), ricamo a cuciture casuali, 45x65cm, 2005

Mona Lisa (Leonardo da Vinci), ricamo a cuciture casuali, 45x65cm, 2005

Senza avvicinarsi non ci si accorge che le opere di Yao Huifen (di cui ho già parlato qui) non sono dipinte ma ricamate. Tante sono le tecniche usate, studiato il colore e la rifrazione dei fili; minuscoli i punti. 
Anche se la parte più importante del lavoro di Lady Yao consiste nel riprodurre con il tradizionale ricamo cinese i capolavori del passato.

Si è cimentata nella reinvenzione ad ago e filo dei dipinti iconici conservati nelle sale dei musei occidentali. Dalla Gioconda di Leonardo da Vinci a ‘La Lattaia’ di Vermeer, passando per Raffaello e le tele degli impressionisti. Forse però rasenta la perfezione solo quando si confronta con la pittura a inchiostro dei grandi maestri cinesi. 

Il ricamo ha fatto parte della vita di Yao Huifen fin da bambina. La famiglia aveva una lunga storia in quest’arte applicata e Yao ha cominciato studiarlo fin da piccola anche se la parte più importante della sua formazione risale a tempo dopo quando ha imparato a padroneggiare le tecniche di Suzhou. 

Perché in Cina ricamare è una cosa seria, con centri particolarmente specializzati e una storia millenaria che conosce il suo punto di svolta nella figura della leggendaria ricamatrice Shen Shou (che fece di questa forma d‘artigianato un mestiere vero e proprio). E Yao Huifen è appunto considerata il quarto successore di Shen Shou.

Yao Huifen ha girato tutto il mondo per mostrare le tecniche di ricamo cinesi, in patria tra le altre cose è a capo di un’istituzione che porta il suo nome. Alcuni suoi lavori sono conservati al British Museum e quest’anno è stata tra i protagonisti del Padiglione Cina della Biennale di Venezia. Per riprodurre i capolavori della Storia dell’Arte con il ricamo usa centinaia di tecniche diverse in un solo pezzo.

Lotus, ricamo a cuciture casuali, 70x70cm, 2005

Lotus, ricamo a cuciture casuali, 70x70cm, 2005

La Lattaia (Vermeer), ricamo a cuciture casuali, 60x80cm, 2006

La Lattaia (Vermeer), ricamo a cuciture casuali, 60x80cm, 2006

Uva, ricamo a cuciture casuali, 25x100cm, 2012

Uva, ricamo a cuciture casuali, 25x100cm, 2012

Principessa di Broglie (Ingres), ricmo a cuciture casuali, 60x80cm, 2006

Principessa di Broglie (Ingres), ricmo a cuciture casuali, 60x80cm, 2006

Paesaggio , ricamo a cuciture casuali, 80x80cm, 2011

Paesaggio , ricamo a cuciture casuali, 80x80cm, 2011

Yayoi Kusama a New York con 2 nuove Infinity Mirror Room fa il pieno su Instagram e file alla Van Gogh

$
0
0
installation view, yayoi kusama: festival of life, david zwirner, new york, 2017; image © yayoi kusama / courtesy of david zwirner, new york; OTA fine arts,tokyo/singapore/shanghai; victoria miro,london; yayoi kusama inc.

installation view, yayoi kusama: festival of life, david zwirner, new york, 2017; image © yayoi kusama / courtesy of david zwirner, new york; OTA fine arts,tokyo/singapore/shanghai; victoria miro,london; yayoi kusama inc.

E chi l’avrebbe detto che Yayoi Kusama, a 88 anni suonati, con una vita tribolata alle spalle (anche se densa di successi professionali), si sarebbe trasformata in una star di instagram in grado di muovere una massa di spettatori da far invidia al museo di Van Gogh in un giorno di festa? Eppure è quello che sta succedendo in questi giorni a New York.

La David Zwirner gallery, infatti, ha recentemente inaugurato la personale di Yayoi Kusama, ‘Festival of life’. L’evento, che in realtà è un grappolo di mostre dedicate all’artista giapponese spalmate in vari spazi, comprende diverse opere tra le quali due nuove ‘Infinity mirror rooms’. E sono proprio queste ultime ad essersi immediatamente trasformate in spazi di culto per gli istagrammers. Ma non solo, perché per entrare a vedere ‘Festival of life’ gli organizzatori avvertono di mettere in preventivo una coda da un minimo di 2-4 ore.

Sotto (il lavoro della Kusama ndr) c’è una sensibilità, autenticità e profondità- ha detto Lucas Zwirner, direttore editoriale della galleria, a abc7 NY- che penso attragga anche tante persone giovani”.

La mostra si concentra sulle opere recenti della Kusama e comprende sessantasei dipinti della iconica serie ‘My eternal soul’, delle nuove sculture floreali, un ambiente interamente ricoperto di pois (elementi ricorrenti nella produzione dell’artista fin dai suoi esordi) e, appunto, due ‘Infinity mirror rooms’.

yayoi kusama, infinity mirror room- let’s survive forever; festival of life, david zwirner,image © designboom 

yayoi kusama, infinity mirror room- let’s survive forever; festival of life, david zwirner,image © designboom 

Infinity Mirror Room- Let’s Survive Forever: La stanza è fatta di specchi e sfere riflettenti (sospese e appoggiate a terra). Il motivo di quest’opera immersiva ricalca ‘Narcissus garden’, che la Kusama presentò alla Biennale di Venezia del ‘66 e che ha recentemente riposto alla ‘Glass House’ (in Connecticut; ne ho parlato qui). Ma se la storica installazione scivolava nella performance (l’artista, in kimono dorato, vendeva le sfere a 1200 lire l’una, salvo poi essere fermata dalla direzione) e voleva rappresentare una critica alla mercificazione dell’arte. ‘Let’s survive forever’ è una scultura e una riflessione su temi intimi ma intramontabili (ricordi, percezione, differenza tra esperienza individuale e condivisa). 

Infinity Mirror Room- Longing for eternity: In questa stanza non si può entrare. I visitatori sono invitati a guardare da uno spionciono delle minuscole luci che cambiano colore e, moltiplicate dagli specchi, si succedono all’infinito. Riflessi e luci creano un motivo esagonale ripetuto e uno scenario architettonico trasfigurtato. E’ un opera molto poetica che ricorda un grande caleidoscopio.

installation view, yayoi kusama: festival of life, david zwirner, new york, 2017;image © yayoi kusama  / courtesy of david zwirner, new york; OTA fine arts, tokyo/singapore/shanghai; victoria miro, london; yayoi kusama inc.

installation view, yayoi kusama: festival of life, david zwirner, new york, 2017;image © yayoi kusama  / courtesy of david zwirner, new york; OTA fine arts, tokyo/singapore/shanghai; victoria miro, london; yayoi kusama inc.

La mostra presenta anche ’With all my love for the tulips, I pray forever’. L’opera, che fa parte di una serie recente, è una sorta di ‘Obliteration room’ con al centro due grandi sculture in fibra di vetro rinforzate in plastica. Si tratta ovviamente di giganteschi tulipani.

E mentre la David Zwirner celebra il talento di Yayoi Kusama a New York, il museo ‘The Broad’ di Los Angeles ospita l’importante retrospettiva itinerante ’Infinity mirrors’ focalizzata proprio sulle sue ‘Infinity mirror room’ (la prima tappa è stata all’Hirshhorn, ne ho parlato qui). E’ recente, infine, l’apertura dello ‘Yayoi Kusama Museum’ a Tokyo

yayoi kusama, with all my love for the tulips, i pray forever; festival of life, david zwirner,image © designboom 

yayoi kusama, with all my love for the tulips, i pray forever; festival of life, david zwirner,image © designboom 

yayoi kusama, infinity mirror room- longing for eternity; festival of life, david zwirner,image © designboom 

yayoi kusama, infinity mirror room- longing for eternity; festival of life, david zwirner,image © designboom 

yayoi kusama, with all my love for the tulips, i pray forever; festival of life, david zwirner,image © designboom

yayoi kusama, with all my love for the tulips, i pray forever; festival of life, david zwirner,image © designboom

yayoi kusama, infinity mirror room- let’s survive forever; festival of life, david zwirner,image © designboom

yayoi kusama, infinity mirror room- let’s survive forever; festival of life, david zwirner,image © designboom

yayoi kusama, infinity mirror room- longing for eternity; festival of life, david zwirner,image © designboom 

yayoi kusama, infinity mirror room- longing for eternity; festival of life, david zwirner,image © designboom 

Viewing all 1177 articles
Browse latest View live