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Distributori automatici come fari, nella campagna buia e innevata di Hokkaido

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In Giappone nei distributori automatici si vende di tutto: pasti caldi, mazzi di fiori, riviste e uova fresche. Va da se quindi che le macchinette siano diffuse un po’ ovunque. Anche nell’estremo nord del paese dove gli inverni sono bui e rigidi. Anche nelle periferie. Persino nelle aree rurali. 

Impressiona comunque vedere i distributori automatici come unica testimonianza di vita in piccoli centri di una Hokkaido stretta nella morsa del gelo. Come quelli che il fotografo Eiji Ohashi ha congelato nella serie di scatti ‘Time to shine’. Non che ce ne fosse bisogno, dato che le macchinette di Hokkaido sembrano lì da sempre,  unica testimonianza di vita dopo che tutto il resto è stato spazzato via. Unica fonte di luce in un paesaggio freddo e buio.

"A Hokkaido dove vivo, gli inverni sono duri e le nevicate sono intense", dice il fotografo Eiji Ohashi  "Ogni giorno può riservare degli incovenienti.” Soprattutto nei piccoli agglomerati di case in zone remote dove la neve costringe i pochi abitanti in casa “Ma anche allora posso ottenere bevande calde dai distributori automatici- continua- Quando ho qualcosa di caldo  comprato da un distributore, i miei sentimenti si rilassano."

Insomma a Eiji Ohashi le macchinette piacciono. E non c’è da stupirsene, visto che in Giappone i distributori automatici hanno una diffusione capillare (1 ogni 23 abitanti) e fanno parte del paesaggio urbano dall’800 (in Italia le prime le hanno portate gli americani dopo la seconda guerra mondiale).

Ma anche nella patria dei distributori automatici, in zone e climi in cui costituiscono un conforto, questi negozi-macchina sono minacciati dalle leggi del mercato, che decidono della rimozione di quelle che vendono meno. Esattamente come succede per i piccoli esercizi commerciali e con le stesse conseguenze per le comunità che vi ruotano intorno.

Delle fotografie di Eiji Ohashi hanno parlato importanti testate, e i suoi distributori automatici dopo essere stati al centro di un libro (‘Roadside Lights’) saranno in mostra a Parigi (dal 7 al 30 dicembre) a Gallery & co 119. (via Spoon and Tamago)

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Nasce ‘Living Light’, la lampada alimentata da una pianta by Ermi van Oers

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La lampada ‘Living Light’, firmata dalla giovane designer olandese Ermi van Oers, e presentata in occasione del Duch Design Week di Rotterdam, verrà distribuita dal prossimo anno. Solo 15 pezzi, certo, ma tanto basta per convincersi che si basa su una tecnologia che è già realtà. E un po’ di impegno ci vuole, perché ‘Living Light’ non è alimentata dall’energia elettrica ma dai processi di fotosintesi vegetale.

La lampada non ha fili, è composta da un semplice tubo di vetro, all’interno del quale una pianta produce luce al tocco di una foglia. Living light, infatti, usa i microorganismi per convertire l'energia chimica naturalmente prodotta da una qualsiasi piante in energia elettrica. E per accenderla basta sfiorare una foglia.

La tecnologia che rende possibile questo risultato si basa su una pila a combustibile microbiologica (o pila a combustibile biologica), che imita le interazioni batteriche presenti in natura per produrre energia. Gli elettroni che nascono da questo processo si liberano e scorrono fino a un led inserito alla base del fusto.

Il potenziale dell’energia microbica è enorme- ha detto Ermi van Oers alla rivista Dezeen- le luci della strada potrebbero essere collegate agli alberi, le foreste diventare centrali elettriche, i campi di riso in Indonesia produrre cibo ed elettricità per la popolazione locale.”

E di sicuro il comune di Rotterdam ci crede, visto che ha chiesto alla designer ventiseienne di collaborare all’illuminazione di uno dei suoi parchi.

Nonostante ciò ‘Living Light’, che è la prima tangibile applicazione di consumo dell‘energia microbica, è un bell’oggetto di design ma ancora poco utile a fini pratici. Infatti i processi di fotosintesi impiegano una giornata ad alimentare il led per una mezzora. Senza contare che chi non ha il pollice verde può mettere in preventivo di trovarsi al buio, dato che la quantità di energia prodotta dipende dallo stato di salute della pianta. (via Dezeen

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La giungla in porcellana di Limoges di Juliette Clovis in una serie di nuove sculture

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All Images Courtesy Juliette Clovis

All Images Courtesy Juliette Clovis

L’artista francese Juliette Clovis (di cui ho già parlato qui e qui) ha appena terminato la sua ultima serie di lavori. Ancora una volta uova in porcellana di Limoges riccamente decorate.

Ci sono serpenti tracciati in punta di pennello e poi decine e decine di piccole sculture di uccelli e farfalle che posate sul corpo principale delle opere le ricoprono quasi per intero.

Come in una scena ispirata a Hitchcock- è scritto sul sito della Clovis- possiamo quasi sentire il rumore della giungla: il battito delle ali di un uccello, lo scivolare di un serpente strisciante o il gracidare di una rana. Affascinata dalla bellezza selvaggia della natura, scoperta durante i suoi diversi viaggi, l'artista trae ispirazione da essa per creare le sue giungle (…)”.

Si tratta di lavori grandi (alti oltre 30 centimetri e mezzo) che secondo la Clovis evocano “scene della giungla” e si riferiscono al “ciclo della vita”. Ma lo fanno in  modo metaforico, senza essere crudi. Più attenti a una grazia avida che al declino.

Le porcellane di Juliette Clovis a loro modo ci parlano di biodiversità e tradizione. Entrambe, inutile dirlo, minacciate dal pesante incedere del progresso. 
Ci sono gli animaletti che si assiepano sulle sue sculture dopo essere stati rapiti alla Storia dell’Arte e aver fatto una pausa nella fotografia di moda e nella scenografia cinematografica, ma c’è anche la lavorazione della porcellana dura per cui la città di Limoges è diventata famosa e l’uso di un soggetto classico come l’uovo. Insomma una manciata di elementi di antica memoria che suonano come riscoperte e reinvenzioni.

Per vedere altre opere di Juliette Clovis oltre al suo sito internet si può ricorrere ai suoi account Instagram e Facebook.

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Andrea Ravo Mattoni che riproduce i capolavori con le bombolette spray ha dipinto un gigantesco Caravaggio all’ospedale di Roma

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Andrea Ravo Mattoni, 'Sette opere di Misericordia'. all images courtesy andrea ravo mattoni

Andrea Ravo Mattoni, 'Sette opere di Misericordia'. all images courtesy andrea ravo mattoni

Per terminare il lavoro aveva a disposizione dieci giorni. Una finestra di tempo striminzita come un vestito vecchio. Ma Andrea Ravo Mattoni (di cui ho già parlato qui) ne ha impiegati solo sei, per riprodurre ‘Sette opere di Misericordia’ di Caravaggio sulla facciata della Residenza Gemelli di Roma.
E pensare che per farlo ha usato solo le bombolette spray.

L’intervento di street-art (che verrà presentato ufficialmente il prossimo 13 dicembre nel corso di un evento dedicatogli) si colloca in un progetto più ampio ed ambizioso dell’artista di Varese: “creare una pinacoteca diffusa a cielo aperto di dipinti classici dal 1400 al 1800, riprodotti su muri pubblici o aperti al pubblico.” Insomma, Ravo Mattoni vuole rendere la Storia dell’Arte accessibile a tutti e evidente. Il fatto che i capolavori siano stati rifatti con le bombolette spray poi, gli serve come espediente per attirare l’attenzione.
Senza dimenticare che cambiando il supporto (un edificio anziché una tela) anche le dimensioni si modificano. Nel caso dell’opera di Roma ad esempio, se l’originale di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio misura 390 centimetri per 260, il murale di Andrea Ravo Mattoni arriva a 8 metri di base per 9 e mezzo d’altezza.

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La Residenza Gemelli è una struttura per l’alloggio dei pazienti e dei familiari nell’ambito del Policlinico di Monte Mario. Il complesso di edifici, come i quartieri periferici delle città, si caratterizza per l’anonimato. In questo contesto il murale diventa un intervento di riqualificazione urbanistica. E non è il primo. “Si affiancherà a quelle presenti a Varese, Angera, Malpensa, Olbia, Gaeta, Varallo Sesia, San Salvatore di Fitalia e Parigi.” Più o meno tutte le zone in cui sono stati realizzati questi murali, infatti, sono architettonicamente tristi e anonime.

Per vedere altri capolavori riprodotti con le bombolette spray da Andrea Ravo Mattoni si può ricorrere al suo sito internet o seguirlo via Facebook e Instagram.

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‘The Prada Double Club Miami’: Carsten Höller traforma degli antichi studi cinematografici di Miami in un night club esclusivo

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Carsten Höller, The Prada Double Club; Image Courtesy of Fondazione Prada

Carsten Höller, The Prada Double Club; Image Courtesy of Fondazione Prada

L’artista concettuale di origine tedesca Carsten Höller sarà a Miami in occasione della fiera-evento Art Basel con un installazione importante e un po’ matta. Anzi “schizofrenica”, come specifica lo stesso Höller. Realizzata in collaborazione con Fondazione Prada, si intitola ‘The Prada Double Club Miami’ ed è un vero e proprio night club. Che da domani sera alle 22 e 30 aprirà al pubblico (fino al 7 dicembre).

Carsten Höller, che solo lo scorso anno era a Milano con una personale all’Angar Bicocca, è solito invitare il pubblico a partecipare all’opera d’arte in ambienti familiari ma modificati ad hoc; un po’ come se il visitatore fosse un topo da laboratorio. Lo scopo è quello di spingerlo a interrogarsi sull’affidabilità dei suoi sensi e sulla sua conseguente lettura della realtà. 

‘The Prada Double Club Miami’ è stato realizzato in un complesso di studi cinematografici degli anni ‘20 e non è il primo night club di Höller. L’artista, infatti, ne aveva già creato uno a Londra nel 2008 (‘Double Club’). Ma gli organizzatori assicurano che questa seconda versione dell’installazione non sarà una replica.
"The Prada Double Club Miami” offre un approccio innovativo alle nozioni di divertimento e ospitalità- è scritto sul sito di Fondazione Prada- creando allo stesso tempo un dialogo tra arte contemporanea, musica, lifestyle e design. L’iconico progetto di Carsten Höller, tenutosi a Londra nel 2008 per una durata di otto mesi, è proposto a Miami in una seconda e inedita versione.”

E Carsten Höller aggiunge in un' intervista rilasciata a designboom: "il concetto è di due luoghi diversi che sono uno accanto all'altro e condividono tempo e spazio, ma non si mescolano. E' ancora più un progetto artistico rispetto a quello di Londra, perché riguarda i colori. Quando lo vedi di notte, fuori ci sono colori folli. Invece, quando entri, non è solo bianco e nero, ma al 100% bianco e nero, inclusi il bar, le bevande e le persone che lavorano lì. Che avranno tutti la faccia dipinta e gli occhiali da sole in modo da non mostrare gli occhi."

Il locale notturno, infatti, disporrà di due spazi: uno interno e un giardino tropicale esterno. Non a caso l’opera intende indagare il tema del doppio. Al chiuso il club sarà quasi monocromatico mentre fuori i colori saranno incredibilmente vividi: “ Voglio che gli ospiti si sentano come se fossero l'unico elemento di colore nel lato monocromatico che ha solo grigi, neri e bianchi, come se fossero un elemento estraneo in un film in bianco e nero- ha spiegato Höller - e che abbiano l’impressione di essere pallidi nell'altro iper-policromatico lato, dove i tropici colpiscono un po' troppo forte.” 

Performance live e dj di fama internazionale all’interno e musica caraibica all’esterno, faranno il resto. Peccato che l’installazione di Carsten Höller ad Art Basel Miami Beach, per nulla democraticamente, sarà riservata a “un gruppo selezionato di ospiti”. (via Designboom)

All Images Courtesy of Fondazione Prada

All Images Courtesy of Fondazione Prada

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Banksy festeggia il Natale con due nuove opere di street-art. Sul muro che separa Gerusalemme da Betlemme

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In occasione del Natale Banksy è tornato al suo ‘Walled off Hotel’ (di cui ho parlato qui) e ha aggiunto due nuove opere di street-art alla collezione già ben fornita che ha disseminato per Betlemme. 
I due murales realizzati, come è consuetudine del famoso writer britannico, con degli stencils, si intitolano: “Peace on Earth” e “Angels”.

Il primo è stato dipinto di fronte alla cappella Milk Grotto di Betlemme in territorio palestinese. Mentre il secondo arricchisce il muro di contenimento israeliano con un nuova opera firmata Banksy. La decima, al momento. 
I soggetti dei due interventi sono piacevoli alla vista e satirici con candore, in perfetto stile Banksy. Il titolo “Peace on Earth”, infatti, è la versione abbreviata della frase che campeggia, graziosa e lieve come una cartolina d’auguri per le festività, su un muro cisgiordano. Cioè: “Peace on Earth terms and conditions apply” (Pace sulla Terra- si applicano termini e condizioni). 
Gli ingenui e paffuti angioletti stereotipati di “Angels”, invece, sfruttano una fenditura nel muro di contenimento per forzarlo con un piede di porco. Ovviamente indossano anche una tenuta da scassinatori. L’opera, realizzata in segreto, è rimasta nascosta sotto il cartello che ne pubblicizzava l’inaugurazione.

Questi due nuovi interventi di Banksy, oltre a porre l’accento sul conflitto israelo-palestinese, richiamano l’attenzione sull’art hotel dell’artista e sulle manifestazioni organizzate per le festività.

Di fronte al ‘Walled Off’, infatti, domenica scorsa ha preso il via la manifestazione “Alternativity” che prevede uno spettacolo teatrale con Danny Boyle e altri eventi. 
Banksy, la cui identità resta avvolta nel mistero (l’ipotesi più accreditata al momento è che si tratti di Robert Del Naja dei Massive Attack), non ha un account su Facebook, Twitter o Instagram, ma ha un sito internet come ce l’ha il ‘Walled Off hotel’. (via StreetArtNews)

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Liu Bolin sparito tra i ghiacci per la Moncler riappare nel mondo del fashion. La storia di come un artista diventa anche stilista

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liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

Era solo una questione di tempo. Per quanto la sua ultima collaborazione con la Moncler abbia fatto parlare più del solito, la liaison tra l’artista cinese Liu Bolin (di cui ho parlato qui) e il mondo della moda dura da tempo. Ed era ovvio che prima o poi ne sarebbe venuto fuori qualcosa. 
Come una collezione. Firmata Liu Bolin, naturalmente.

Conosciuto anche come ‘l’uomo invisibile’, per la sua capacità di rendersi indistinguibile dal  paesaggio nelle fotografie, Liu Bolin, sta vivendo un periodo di crescente successo. E’ finita da poco la grande mostra a lui dedicata dalla Maison Européenne de la photographie di Parigi (Ghost Stories). Ma è stata soprattutto la campagna pubblicitaria per l’autunno-inverno 2017-2018 di Moncler a intercettare l’interesse della stampa. 

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

Infatti, quella fotografia di Liu dipinto dalla testa ai piedi nei colori del paesaggio scattata da anne leibovitz tra i ghiacciai islandesi ha attirato l’interesse dei giornali di tutto il mondo. E difficilmente avrebbe potuto passare inosservata 

Nel maggio 2017, abbiamo realizzato « la campagna pubblicitaria di Moncler »- ha spiegato Liu Bolin in un’intervista rilasciata a Paris Match- al polo nord, con Annie Leibowitz. Io volevo un sfondo con gli icebergs. Mi è piaciuto il lato magico e irreale del luogo. Erano in quattro a dipingermi, tutti in una volta, la foto non ci ha preso più di un ora di tempo. Fortunatamente, perché faceva freddissimo!

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

Era già la seconda volta che Bolin e la Leibowitz lavoravano insieme per il marchio di Monestier-de-Clermont (la campagna primavera-estate 2017 porta le loro firme). Ma l’esperienza dell’artista cinese nel mondo della moda non si limita a questo. Nel 2015 si è fatto invisibile per Guerlain e nel 2012, per la rivista Harper’s Bazaar, ha collaborato con ben quattro marchi di fama inossidabile: Jean Paul Gaultier, Lanvin, Missoni e Valentino. Quest’ultimo, da parte sua, si è anche ispirato a lui per una collezione di scarpe da ginnastica.

Liu Bolin, Hiding in the City Paris, Love, 2014 © Liu Bolin / Courtesy Liu Bolin / Galerie Paris-Beijing Collection Guerlain

Liu Bolin, Hiding in the City Paris, Love, 2014 © Liu Bolin / Courtesy Liu Bolin / Galerie Paris-Beijing Collection Guerlain

D’altra parte per scomparire nelle fotografie, Liu Bolin, non può limitarsi al body painting, deve pure dipingere, insieme al suo staff, abiti e scarpe. Tenere conto delle distorsioni che i vestiti possono portare alla figura e al colore, oltre a prendere in considerazione la natura dei tessuti che usa come tela. 

Insomma quella con la moda era quasi una relazione annunciata. Che è diventata ufficiale lo scorso autunno quando Liu Bolin ha debuttato come stilista nel corso del ‘New York Fashion week’.

La collezione (primavera/estate 2018) comprende 24 pezzi (vestiti, pantaloni, maglie, camicie, giubbotti, c‘è persino un abito da gran sera) ispirati alle 12 opere della serie ‘Hiding in New York’ (2011) in cui parlava di armi da fuoco, consumismo e informazione. Ne è venuta fuori una collezione piacevole, molto colorata, giocata sulle forme particolari e su una certa morbidezza. Che probabilmente per pura coincidenza ricorda vagamente il marchio fiorentino Save the Queen.

maria grazia chiuri e pierpaolo piccioli per valentino photo liu bolin courtesy eli klein fine art

maria grazia chiuri e pierpaolo piccioli per valentino photo liu bolin courtesy eli klein fine art

Le collaborazioni tra artisti e mondo della moda sono piuttosto comuni. Basta citare Louis Vuitton che ha chiesto di firmare i suoi accessori a grandi nomi dell’arte contemporanea in più di un‘occasione (della ‘The Masters Collection’ di Jeff Koons ho parlato qui). Meno consueto, invece, è un artista che crea un marchio tutto suo. Ma Liu Bolin non è il primo. E’ famoso il  caso di Yayoi Kusama, anche se va detto che i suoi erano abiti un po’ particolari. (via designboom, lemondedelaphoto, designyoutrust)

Liu Bolin / Courtesy Galerie Paris-Beijing

Liu Bolin / Courtesy Galerie Paris-Beijing

jean paul gaultier photo by liu bolin courtesy eli klein fine art

jean paul gaultier photo by liu bolin courtesy eli klein fine art

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

angela missoni  photo by liu bolin courtesy eli klein fine art

angela missoni  photo by liu bolin courtesy eli klein fine art

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

liu bolin photo anne leibovitz collection moncler

liu bolin per harper's bazaar

liu bolin per harper's bazaar

Ai Weiwei crea un’enorme scultura con 1254 biciclette nelle strade di Buenos Aires

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Ai Weiwei. Forever Bicycles, 2017; 1254 biciclette in metallo 950 x 1600 x 290 cm. photo: Gian Paolo Minelli.

Ai Weiwei. Forever Bicycles, 2017; 1254 biciclette in metallo 950 x 1600 x 290 cm. photo: Gian Paolo Minelli.

Ai Weiwei è instancabile. Il suo documentario dedicato ai migranti ‘Human Flow’ è fresco di proiezione e la grande mostra di arte pubblica ’Good Fences make good neighbours’ continua a New York, nel frattempo l’artista e attivista cinese ha inaugurato l’esposizione ‘Inoculacion’ alla Fodazione PROA di Buenos Aires. 
33 opere, tra le quali ‘Forever Bicycles’, che consegna alla città sudamericana un monumento ai mutamenti sociali fatto con… 1254 biciclette di metallo.

In questo nuovo evento, curato dal critico brasiliano Marcello Dantas, Ai Weiwei ha usato tutte le sale del museo, bar e bookshop compresi, dando prova del suo talento da architetto. Con l’obbiettivo di ritrarre il proprio percorso professionale e, in ugual misura, i suoi due cavalli di battaglia (ingiustizia cinese e migrazioni). 
In quest’occasione Ai Weiwei ha deciso di esporre alcune opere particolarmente importanti. Di creare installazioni con carta da parati per prendere possesso di ogni sala della Fondazione. E di invadere l’area antistante il museo con una grande opere di arte pubblica.
Forever Bicycles, scultura monumentale costruita con 1254 biciclette, di 16 metri di lunghezza per 9 metri di altezza- spiega la direttrice di PROA, Adriana Rosemberg- si trova sul marciapiede di fronte alla facciata della fondazione, mostrando al Barrio de la Boca un'icona del modo di vivere e dei costumi in Cina. Questo gesto di Proa verso il quartiere mira a mettere a disposizione del passante casuale, dei bambini, una delle opere più belle costruite con oggetti della vita quotidiana.”

Ai Weiwei, Sunflower Seeds, 2010 Porcellana 15 tonnellate; 116,5 m2. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Ai Weiwei, Sunflower Seeds, 2010 Porcellana 15 tonnellate; 116,5 m2. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Va poi ricordato che all’interno sarà possibile vedere la famosissima installazione ‘Sunflower seeds, fatta con 15 tonnellate di semi di girasole in porcellana dipinti a mano, uno ad uno, da artigiani cinesi. E con la quale Weiwei conquistò la Turbine Hall della Tate Gallery di Londra nel 2010.

Ai Weiwei, He Xie, 2011, 28 x 8 x 2 cm. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Ai Weiwei, He Xie, 2011, 28 x 8 x 2 cm. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Da citare anche ‘He Xie’ esposta anche in occasione di ‘Ai Weiwei: Libero’ a Palazzo Strozzi (ne ho parlato qui) e ‘Moon chest’ composta da alcune casse in legno lavorate secondo un’antica tecnica cinese (le casse sono in fila e su ognuna c’è un foro; per il leggero sfalsamento tra le pareti dei mobili se si guarda nel buco si possono vedere decine di fasi di un’eclisse lunare).

Ai Weiwei, Moon Chest, 2008 legno di Huang Hua Li (Huali) 320 x 160 x 80 cm cada uno. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Ai Weiwei, Moon Chest, 2008 legno di Huang Hua Li (Huali) 320 x 160 x 80 cm cada uno. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Ai Weiwei sarà a Buenos Aires fino al 3 di aprile del prossimo anno. Ma c’è da credere che prima di allora sarà possibile vedere le sue opere un po’ più vicino.

Ai Weiwei, Sunflower Seeds, 2010 Video, color. 14 42. Courtesy Tate Digital © Tate 2017

Ai Weiwei, Sunflower Seeds, 2010 Video, color. 14 42. Courtesy Tate Digital © Tate 2017

Ai Weiwei, Stacked Porcelain Vases as a Pillar, 2017 Porcellana 312 x 50,5 x 27 cm total. 52 x 50,5 x 27 cm per vaso. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 201

Ai Weiwei, Stacked Porcelain Vases as a Pillar, 2017 Porcellana 312 x 50,5 x 27 cm total. 52 x 50,5 x 27 cm per vaso. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 201

Ai Wewei, Taifeng, 2015 Bamboo e seta. 167 x 86 x 200 cm. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Ai Wewei, Taifeng, 2015 Bamboo e seta. 167 x 86 x 200 cm. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Ai Weiwei, Making of Sunflower Seeds, 2010 Color Impression. Copia per la mostra misure variabili

Ai Weiwei, Making of Sunflower Seeds, 2010 Color Impression. Copia per la mostra misure variabili

Ai Weiwei, Map of China, 2017 Wallpaper, digital print. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Ai Weiwei, Map of China, 2017 Wallpaper, digital print. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Ai Weiwei, 320 Photos Related to Refugees, 01.12 - 01.27, 2015 Wallpaper. Digital Print. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017 Medidas variables

Ai Weiwei, 320 Photos Related to Refugees, 01.12 - 01.27, 2015 Wallpaper. Digital Print. photo © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017 Medidas variables

Au Weiwei, Free Speech Puzzle, 2015 Porcellana. 51 x 41 x 0,8 cm. image © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017

Au Weiwei, Free Speech Puzzle, 2015 Porcellana. 51 x 41 x 0,8 cm. image © Ai Weiwei Studio, Berlín, 2017


Toshihiko Shibuya trasforma un parco innevato di Sapporo con i favolosi colori di ‘Snow Pallet 10’

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All images Courtesy Toshihiko Shibuya

All images Courtesy Toshihiko Shibuya

Tutti gli anni l’artista giapponese Toshihiko Shibuya (di cui ho parlato per esempio qui) crea un’installazione dedicata alla stagione fredda. Si chiamano tutte ‘Snow Pallet’ e riflettono note di colore vivo sulla neve fresca senza alterare il paesaggio. Si tratta sempre di strutture minimali, metalliche, illuminate da toni pastello fosforescenti. Quelli delle caramelle gommose e dei dolcetti di zucchero. Ma molto più intensi.
Stavolta Toshihiko Shibuya ha scelto la grande scala per ‘Snow Pallet 10’. L’opera, infatti, è composta da ben 26 parti. Tutte collocate nel cortile al quarto piano dell’Hotel Sapporo Garden Palace, a due passi dal ‘Red Brick Hokkaido Building’ (il palazzo simbolo della città).

‘Snow Pallet 10’ come le installazioni che l’hanno preceduta è fatta per stare in mezzo alla natura enfatizzando il mutare del paesaggio con lo scorrere del tempo: di ora in ora, di giorno in giorno, di mese in mese. Gli elementi di cui è composta hanno altezze diverse e sono stati concepiti per raccogliere la neve che cade o si scioglie con il primo sole di primavera. I colori fosforescenti sono applicati in punti strategici che permettono alla luce cromata di inondare la coltre bianca di sfumature giocose.
 “Cerco di creare opere che risuonino nella natura- dice Toshihiko Shibuya- Il mio lavoro esprime l’unicità del clima settentrionale di Hokkaido, con le sue forti nevicate”.

L’isola di Hokkaido situata all’estremo nord del Giappone, ai confini con la Russia, durante l’inverno, un lungo inverno che dura ben sei mesi, si copre di neve. Chi l’ha visitata dice che la sua desolata bellezza in quel periodo abbia un sapore epico. 
Spero che il mio lavoro inaugurerà un nuovo approccio alla winter art- aggiunge Shibuya- Tutti tendono ad odiare l’inverno, ma se tu cambi il tuo punto di vista, le possibilità per il futuro ti si spalancano davanti. Mi piacerebbe inviare un messaggio d'arte nelle regioni con abbondanti nevicate da Sapporo, Hokkaido, in Giappone.

‘Snow Pallet 10’ stata posizionata nei giorni scorsi e accompagnerà le festività che in quella zona risplendono di illuminazioni spettacolari. Sarà possibile vederla dal vivo fino a marzo 2018. Toshihiko Shibuya quest’anno è stato premiato con l’ ‘Hokkaido Culture Encouragement Prize’.

le nevicate a sapporo sono intensissime. la serie 'snow pallet' evidenzia il mutare del paesaggio

le nevicate a sapporo sono intensissime. la serie 'snow pallet' evidenzia il mutare del paesaggio

i colori dell'installazione si rifrangono sulla neve con le loro note vivaci e giocose

i colori dell'installazione si rifrangono sulla neve con le loro note vivaci e giocose

l'installazione muta col paesaggio: di ora in ora, giorno in giorno, mese in mese

l'installazione muta col paesaggio: di ora in ora, giorno in giorno, mese in mese

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Art Basel| Lo spettacolo di 300 droni luminosi che migrano come uccelli nel cielo di Miami. By Studio Drift

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Ci sono voluti ben 300 droni e un algoritmo creato appositamente per riprodurre il volo degli uccelli durante le mirazioni ma ‘Franchise Freedom’, del duo di designers olandesi Studio Drift, nei giorni scorsi, è riuscita a illuminare Miami e affascinare il pubblico di Art Basel.

L’installazione volante è stata creata da Studio Drift in collaborazione con Future Peace Gallery e BMW, in occasione della fiera d’arte contemporanea ‘Art Basel Miami Beach’(che si è tenuta lo scorso fine settimana) ma in realtà durerà fino al 22 dicembre con ricorrenti spettacoli serali. 

Meteo permettendo ovviamente, visto che i droni devono volteggiare nel cielo della città californiana mimando i movimenti degli uccelli migratori durante la partenza. Lo stormo è composto da 300 piccoli velivoli che montano delle luci colorate, rendendo l’installazione molto coreografica.

Frinchise Freedom- è scritto sul sito della Peace Gallery- mostra la tensione tra libertà individuale e sicurezza data dai numeri.”

Studio Drift è composto dai due giovani designers Lonneke Gordijn and Ralph Nauta, che spesso usano le potenzialità degli algoritmi per sviluppare le loro opere. In particolare ‘Franchise Freedom’ si serve di algoritmi decentrati rispetto alle macchine, per simulare un fenomeno naturale su larga scala. Secondo gli organizzatori sarebbe la prima volta che un esperimento di questo genere viene portato a termine.

"Ogni cosa puà essere simulata attraverso l‘animazione e la realtà virtuale- ha detto Lonneke Gordijn- Ma noi pensiamo che sia importante creare esperienze reali che si possono sentire e vedere con i propri occhi nel mondo reale e non solo in uno schermo.

Il lavoro di Studio Drif in perenne tensione tra design e arte, tecnologia e natura, si può approfondire mediante il loro sito internet o gli account Facebook ed Instagram. (via Dezeen)

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Le nuove sculture di Ben Young che permettono di portare tutta la bellezza di assolati fondali oceanici in un angolo del salotto

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Ben Young (di cui ho già parlato qui) riesce a riprodurre i fondali oceanici e la bellezza delle coste degradanti con materiali semplici: vetro, cemento armato, spesso, ma non sempre, anche bronzo e acciaio. Nient’altro.

Il suo è un lavoro artigianale che richiede una certa dose di pazienza ma soprattutto abilità. Perché per arrivare a un risultato così pulito e coinvolgente deve lavorare una ad una diverse decine di lastre di vetro, che sovrapposte creeranno il mare. Ovviamente ognuna deve avere una forma leggermente diversa dalle altre. 

Ben Young ha una formazione artistica autodidattica, vive a Mount Maunganui, Nuova Zelanda. E’ uno che di mare se ne intende. Per lavoro, infatti, costruisce barche ed è un surfer appassionato.

Nelle sue sculture tutto ha il suo posto. Le lastre di vetro servono per dar vita all’acqua, il calcestruzzo è il materiale che usa per le coste, se ci sono figure umane, barche o palme usa il bronzo. Con l’acciaio, infine, sostiene l’opera, quando si rende necessario.

"Il modo in cui utilizzo il vetro mi consente di ritrarre tanti aspetti diversi delle mie idee- spiega Ben Young sul suo sito internet-  L‘illuminazione gioca un ruolo fondamentale nella presentazione dei miei pezzi. Proiettata in un certo modo, la luce emana riflessi che danno l'illusione che l’opera prenda vita. Spero che gli spettatori possano immaginare il lavoro come qualcosa di "vivente" in grado di dare il senso dello spazio, del movimento, della profondità e dell’essere nello spazio”.

Per vedere altre fotografie della nuova serie di lavori di Ben Young si può consultare il suo sito internet ma anche ricorrere ai suoi account Behance o Instagram. (foto via designboom, Faith is torment)

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Cai Guo Qiang ha dipinto con gli esplosivi un enorme e coloratissimo fungo atomico nel cielo di Chicago

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cai guo quiang, color moshroom cloud, photo by zoheyr doctor and reed essick, courtesy cai studio

cai guo quiang, color moshroom cloud, photo by zoheyr doctor and reed essick, courtesy cai studio

L’artista cinese Cai Guo-Qiang (di cui ho già parlato qui) ha recentemente realizzato l’installazione effimera ‘Color Mushroom Cloud’. Cioè un coloratissimo fungo atomico a grandezza naturale. Dipinto con gli esplosivi nel cielo di Chicago.

‘Color Mushroom Cloud’ di Cai Guo Qiang ha concluso ‘reactions: new perspectives on our nuclear legacy’, una serie di eventi pubblici organizzati dall’Università di Chicago per il settantacinquesimo anniversario della prima reazione nucleare a catena artificiale. 

L’esperimento si svolse nel 1942, sotto la supervisione di Enrico Fermi,  ed ebbe luogo nel campo da racquets (sport simile allo squash), situato proprio sotto le tribune dello stadio dell’Università di Chicago. Fermi era sicuro di avere tutto sotto controllo ma, come gli storici ufficiali della Commissione per l'Energia Atomica avrebbero commentato più tardi, il rischio di condurre un esperimento potenzialmente catastrofico in una delle aree più densamente popolate della nazione non era affatto  scongiurato.

L’opera di Cai Guo Qiang è stata vista dal vivo da centinaia di persone e da molte di piu’ durante la diretta video online. Lo scopo dell’installazione era indurre a riflettere su come quel momento abbia cambiato la nostra Storia.

'Siamo di fronte a incessanti violenza e terrore in tutto il mondo ', ha spiegato Cai Guo-Qiang. "Gli esseri umani hanno creato un potente mezzo per la devastazione su vasta scala, eppure c'è ancora qualcuno che usa questo potere per creare la bellezza, e questo, di per sé, dà all'umanità un po 'di speranza".

La realizzazione dell’opera, com’è abitudine del famoso artista, ha richiesto una lunga preparazione. Il tempo in cui è stato possibile vedere ‘Color Mushroom Cloud’ invece è stato poco: una volta raggiunta l’altezza massima del fusto, i proiettili esplosivi in vari colori (in cui era installato un microchip) l’hanno sovrastato e sono scoppiati all’unisono formando il cappello. I colori si sono dissolti dopo solo 10 secondi.
L’installazione ha raggiunto un’altezza complessiva di 75 metri (alludendo al 75esimo anniversario). Lo spettacolo si è tenuto alle 15 e 25 esattamente lo stesso orario in cui Fermi cominciò il suo esperimento.

Non è la prima volta che Cai Guo-Qiang entra nel merito di quest’argomento con le sue spettacolari installazioni. La prima è stata nel ‘94 con ‘Earth has its black hole too: project for extraterrestrials no. 16’ realizzata ad Hiroshima in Giappone e che gli è valsa il premio Hiroshima in onore del contributo alla pace umana. In fondo a quest’articolo trovate il video di un’altra installazione di Cai Guo-Qiang svoltasi a Hiroshima più recentemente. (via designboom)

photo by jean lachat, courtesy cai studio

photo by jean lachat, courtesy cai studio

photo by zoheyr doctor and reed essick, courtesy cai studio

photo by zoheyr doctor and reed essick, courtesy cai studio

photo by wen-you cai, courtesy cai studio

photo by wen-you cai, courtesy cai studio

photo by john zich, courtesy cai studio

photo by john zich, courtesy cai studio

Riappare a Miami una manona di Lorenzo Quinn. Questa volta lancia un missile sugli States

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Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Dopo il successo di ‘Support’ posizionata in occasione della Biennale di Venezia (in cui due enormi mani si levavano dal Canal Grande per sostenere la città, minacciata dal riscaldamento climatico), Lorenzo Quinn è tornato a far parlare le sue mani giganti con la scultura ‘A Dangerous Game’ (Un gioco pericoloso). 
L’opera di Lorenzo Quinn ha fatto la sua comparsa a Miami durante la settimana dell’arte (‘Miami Art Week’ che ha il suo fulcro nella tappa statunitense della fiera ‘Art Basel’) e rappresenta una mano umana, rigorosamente bianca, mentre regge con leggerezza, quasi si trattasse di un giocattolo, un missile colorato in modo realistico. Ad ispirare ‘A Dangerous Game’ è stata una mostra sulla crisi cubana visitata da Quinn e, c’è da supporre, la tensione tra Stati Uniti e Corea del Nord.

Vedo i leader delle nazioni' giocare 'con i loro militari come bambini in un pericoloso gioco di sfida- ha spiegato l'artista- E’ spaventoso vedere come giocano con i loro missili come se fossero delle freccette. Non daresti una freccia a un bambino che non è consapevole delle conseguenze che le sue azioni potrebbero causare ".

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

La scultura monumentale di Miami è alta circa 6 metri e supera i 10 metri di lunghezza. E’ stata collocata di fronte alla parete esterna del centro eventi Mana Wynwood su cui è rappresentato il simbolo delle Nazioni Unite, che quindi, appariva come un bersaglio
Lorenzo Quinn è uno dei figli dell’attore Antony Quinn. Nato a Roma, ha vissuto tra Italia e Stati Uniti, per poi trasferirsi in Spagna. Le sue sculture non sono molto apprezzate dalla critica ma hanno un costante riscontro di pubblico. Attualmente lavora con la Halcyon Gallery di Londra che ha contribuito alla sua affermazione professionale ed ha promosso la realizzazione sia di ‘Support’ a Venezia che di ‘A Dangerous Game’.

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Lorenzo Quinn ha recentemente dichiarato in un’intervista a Lifegate che le mani giganti che componevano ‘Support’, per quanto fatte interamente in materiale riciclabile, non verranno distrutte ma usate per una nuova installazione. A chiedergliele sarebbero stati in molti e uno dei progetti prevede di posizionarle come se sostenessero la Torre di Pisa ma l’artista si è detto contrario perché "il fatto che la torre penda non è dovuto ai cambiamenti climatici. ”. Quinn pensa invece di usarle per sostenere un ghiacciaio e di filmare in timelapse l’immagine: "avere le mani che inizialmente sostengono il ghiacciaio e un anno dopo che reggono il nulla perché questo non c’è più.” (via Designboom)

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

Lorenzo Quinn, A Dangerous Game, Miami; photo © designboom

I colori fluorescenti che inondano la notte nella fotografia di Elsa Bleda

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Quello che ci propone la fotografa sudafricana Elsa Bleda è un mondo capovolto. Notturno, solitario, freddo, in cui i colori fluorescenti che si riverberano dalle luci al neon invece di portare conforto dall’oscurità suggeriscono un’inquietudine febbrile. Qualcosa sta per succedere? O forse è già successo? Poco importa però, perché l’atmosfera è sospesa, fissata a un indefinito orario nel cuore della notte. E si capisce che di lì la lancetta dell’orologio non si muoverà mai.

Diverse serie di immagini di Elsa Bleda ritraggono il Sud Africa, ma non solo. E comunque nelle sue fotografie la cartina geografica perde la sua importanza. Ad avere peso sono le atmosfere soffuse, che dilatano il tempo e sfumano l’immagine, il colore che ridà corpo e carica emotivamente, la notte, che assorbe il paesaggio per rigettarlo riconfigurato. E l’architettura: l’unico elemento che sembra destinato a durare.

Al centro delle fotografie della sudafricana ci sono periferie urbane, foreste, campi. La neve e la nebbia, la aiutano a smussare gli angoli di immagini altrimenti dure. Insieme alla luce colorata che inonda di mistero e di attesa il paesaggio silenzioso.

Dopo Johannesburg e Città del Capo, Elsa Bleda, si è concentrata su Durban è stata al centro di una mostra realizzata in collaborazione con Red Bull. Per vedere altre sue serie fotografiche ci sono i suoi account Facebook, Instagram e Behance. (via Colossal)

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Hitomi Hosono che tramuta strati di foglie e fiori riprodotti maniacalmente in vasi di porcellana handmade

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Delicati petali di rosa, minuti fiori e intricate foglie nel lavoro di Hitomi Hosono si ripetono, rigorosamente lavorati a mano, fino a comporre enormi vasi in porcellana. Strati e strati di motivi decorativi fragili e ritorti che riproducono tutta la grazia dei giardini di primavera.

Hitomi Hosono è nata in Giappone ma vive nel Regno Unito e le sue ceramiche celebrano e traggono ispirazione dalla tradizione di entrambi i Paesi. C’è il giardino inglese, ci sono le illustrazioni botaniche dei naturalisti, come le tappezzerie e i tessuti a motivo floreali ma c’è anche tutto l’amore per la natura che i nipponici hanno profuso nelle arti.

"I soggetti del mio attuale lavoro in porcellana sono forme ispirate a foglie e fiori- ha scritto sul suo sito- Studio le forme botaniche nei giardini. Mi sento attratta dalla complessità delle piante, esamino le venature di una foglia, come sono modellati i bordi, la stratificazione dei petali di un fiore. Guardo, tocco, disegno.”

Dal punto di vista tecnico le porcellane di Hosono si ispirano al Jasperware (un tipo di gres ricoperto di sottili rilievi ceramici inventato da Josiah Wedgwood nel tardo XVIII secolo). 

Ma è solo grazie a pazienza e abilità che i suoi vasi raggiungono una simile complessità e pienezza visiva. Hitomi Hosono, infatti, disegna gli elementi compositivi e li riproduce tridimensionalmente, poi applica ogni foglia o fiore ripiengandoli e completandoli manualmente uno ad uno.

Ventidue opere di Hitomi Hosono sono state in mostra alla Daiwa Anglo-Japanese Foundation di Londra (‘Reimaginig Nature: Memories in Porcelain di Hitomi Hosono’, fino al 15 dicembre). Ma nulla impedisce di approfondire il suo lavoro senza muoversi da casa dando uno sguardo al suo sito internet o al suo account Instagram. (via Colossal)

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The Alternativity: la Natività Alternativa di Banksy e Danny Boyle, a Betlemme, in Cisgiordania

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Si tratta di uno spettacolo teatrale sovversivo e apparentemente innocente. 'The Alternativity' ideato dall'artista britannico Banksy e diretto dal regista Danny Boyle ('Trainspotting', premio Oscar nel 2009 per 'The Millionaire') in collaborazione alla regista palestinese Riham Isaac, mima una recita nataliazia di bambini. E in effetti il soggetto è la Natività e gli attori sono proprio bambini palestinesi.

'The Alternativity' è andato in scena a Betlemme in Cisgiordania accanto all'art-hotel di Banksy (il 'Walled Off Hotel' di cui ho parlato qui) e stasera verrà trasmesso da BBC2 come strenna natalizia (il sito non permette di vedere i programmi dall'Italia in diretta ma appena disponibile lo aggiungerò al post).

Il documentario qui sopra è stato girato quasi interamente in Cisgiordania nei pressi del 'Walled Off' (è andato in onda qualche giorno fa sulla rete televisiva d'oltremanica) e ricostruisce la realizzazione del progetto.

Banksy, la cui identità resta avvolta nel mistero (anche se l'ipotesi più accreditata è che si tratti di un collettivo di street-artists guidati da Robert Del Naja dei Massive Attack) ha sottolineato l'importanza dell'evento con due nuovi graffiti (ne ho parlato qui), uno dei quali proprio sul muro di contenimento israeliano.

banksy-the-alternativity Banksy sulla barriera di contenimento israeliana

Banksy sulla barriera di contenimento israeliana

Banksy, di fronte alla Chiesa della Natività di Betlemme

Banksy, di fronte alla Chiesa della Natività di Betlemme

Le fotografie dei rari funghi della foresta pluviale ecuadoriana che sembrano organismi alieni o opere d’arte

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Tutte le foto © Danny Newman e Roo Vandegrift

Tutte le foto © Danny Newman e Roo Vandegrift

Molte specie fino ad oggi erano sconosciute, altre sono rare, la maggior parte, con ogni probabilità, sta per estinguersi. Si tratta di funghi insoliti che sembrano usciti dalla fantasiosa immaginazione di un illustratore o dalle mani di un artista, organismi di cui non si conoscono le proprietà, che nel giro di qualche anno forse non esisteranno più. 
Se non nelle fotografie scattate dai micologi Danny Newman e Roo Vandegrift che per studiarli si sono spinti a Reserva Los Cedros, nella foresta pluviale ecuadoriana.

Quello dei funghi è un mondo a parte, in gran parte inesplorato. Basti pensare che i biologi stimano che sulla terra ne esistano 3 milioni e 200 mila specie ma solo 120 mila sono note alla scienza. La maggior parte di questo patrimonio si trova ai tropici dove Newman e Vandegrift hanno viaggiato spesso (alcune fotografie pubblicate in questo post sono state scattate in altre zone visitate dai due micologi).

A minacciare i funghi come le altre forme di vita sono il cambiamento climatico e lo sviluppo. Ma le specie di Riserva Los Cedros hanno una storia a se. 
L’area è uno degli ultimi bacini imbriferi alle pendici delle Ande e quando gli studiosi l’hanno visitata era del tutto incontaminata ma recentemente il governo dell’Ecuador ha autorizzato il settore minerario a sfruttare la zona. Destinando l’habitat di questi funghi, così strani e colorati, alla distruzione.

"L'identificazione e la descrizione di specie rare o endemiche provenienti dalla riserva- ha spiegato Newman- contribuiranno a dimostrare il valore di questi habitat e l'importanza della loro conservazione"

La coppia di micologi sta attualmente cercando sostegno per sequenziare il DNA di 350 campioni di funghi scoperti in Ecuador. Per saperne di più di funghi e scienza si può consultare il sito dell‘associazione micologica italiana o la rivista Mushroom Observer. (via Colossal)

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L'impianto antincendio va in tilt e l'insegna di un hotel di Chicago si trasforma in una torre di ghaccio

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Tutte le foto © Andrew Hickey 

Tutte le foto © Andrew Hickey 

La tempesta di neve e le condizioni climatiche estreme che hanno colpito la settima scorsa gli Stati Uniti hanno portato con se anche qualche scintilla di magico stupore. E' il caso del piccolo evento evento, documentato in questi scatti dal fotografo di street-art Andrew Hickey: una torre di ghiaccio alta 21 piani.

 L'effimera e accidentale scultura si è formata in corrispondenza della scala esterna e dell'insegna di un hotel di Chicago. A crearla è stato un guasto all'impianto antincendio che si è verificato al ventunesimo piano. L'acqua ha formato una cascata che si è immediatamente ghiacciata. 

Il fotografo Andrew Hickey era lì, come molti altri cittadini, e ha documentato l'accaduto. In fondo al post anche il fiume di Chicago ridotto a una lastra di ghiaccio.

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Wells Street Bridge. #🏙 #😬 #💦

Camminando coi samurai alla National Gallery di Singapore. By Teamlab

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Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore. All images courtesy of Teamlab

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore. All images courtesy of Teamlab

Il collettivo multidisciplinare Teamlab (di cui ho parlato per esempio qui) ha realizzato un’installazione atipica per la National Gallery di Singapore. L’opera, che dà il titolo alla mostra (fino al 21 agosto 2018) si chiama ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’ e rappresenta gente d’altri tempi. O meglio giapponesi d’altri tempi, samurai ma anche contadini, vestiti con i costumi tipici dell’epoca, che camminano all’infinito.

Queste figure, caratteristiche eppure anonime, appena tratteggiate ma più o meno a grandezza naturale, interagiscono con il visitatore. Scherzano persino con lui come se si rendessero conto della sua presenza. Rigorosamente senza interrompere la loro marcia. 
L’installazione accoglie i visitatori in un labirinto di spazi, incontri e confronti che presentano infiniti cicli narrativi nella ricerca dell'illuminazione- spiega la National Gallery di Singapore- L'ambiente 3D è impostato in un modo che il viaggio introspettivo di ognuno venga continuamente sfidato dalla presenza di figure, che attirano, stuzzicano, rispondono scherzosamente allo spettatore, come se percepissero il suo movimento, il calore del corpo e la voce“.  

Teamlab, ‘Flowers and People - Dark’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Flowers and People - Dark’, National Gallery of Singapore

I gruppi di figure e le ambientazioni sono diverse, perché Teamlab vuole dare la possibilità al visitatore di scegliere i suoi compagni di strada in una sorta di viaggio verso l’illuminazione.
Ad affiancare la monumentale ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’ c’è ‘Flowers and people- Dark’ (del 2015) in cui una parete di fiori, completamente interattiva, sboccia, cresce e perde i petali di fronte agli occhi dello spettatore.

Teamlab, ‘Story of the Forest’, National Museum of Singapore

Teamlab, ‘Story of the Forest’, National Museum of Singapore

Oltre a questa mostra Teamlab è presente in questo periodo a Singapore con diverse opere tra cui va ricordata la bellissima installazione didascalica ‘Story of the forest’ che dall’anno scorso è entrata a far parte della collezione permanente del National Museum of Singapore.

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Non è comunque necessario fare tanta strada per vedere il lavoro di Teamlab. Tra poco, infatti, il collettivo giapponese famoso per le spettacolari opere immersive che fondono nuove tecnologie, illustrazione, design ed arte senza tempo, sarà a Parigi, alla Grand Halle De La Villette con ‘Teamlab: Au delà des limites’. Un lavoro che si preannuncia imperdibile.

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Flowers and People - Dark’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Flowers and People - Dark’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Flowers and People - Dark’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Flowers and People - Dark’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Story of the Forest’, National Museum of Singapore

Teamlab, ‘Story of the Forest’, National Museum of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Story of the Forest’, National Museum of Singapore

Teamlab, ‘Story of the Forest’, National Museum of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

Teamlab, ‘Walk, walk, walk: search, deviate, reunite’, National Gallery of Singapore

L’artista Ian Berry ha creato un giardino inglese con fiori, piante farfalle e lepri usando solo vecchie paia di jeans

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Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

L’artista britannico Ian Berry (di cui ho parlato qui), famoso per gli incredibilmente realistici ritratti dipinti con il denim, ha recentemente ultimato l’installazione ‘Secret Garden’ al Children’s Museum of the Arts di New York. Un giardino, con fiori, piante, farfalle e persino leprotti. Fatto interamente di vecchi jeans.

L’opera, ideata per essere attraversata, riproduce un piccolo, lussureggiante spazio verde nascosto tra gli edifici. Le specie di piante che raggruppa vanno dalle rose ai cactus, dal glicine al crisantemo. Ma a renderla veramente affascinante è il pergolato denso si grappoli in fiore. Migliaia tra foglie e petali di tessuto lavorati ed installati manualmente uno ad uno.
‘Secret Garden’ si rivolge sia ai bambini che ai loro genitori e vuole, ad un tempo, stimolare le famiglie a fare più vita all’aria aperta e a riscoprire la dimensione del vicinato.
"Sì, (qui a Manhattan ndr) ci sono posti dove andare e parchi famosi con incredibili spazi aperti e c’è pure la High Line- spiega Ian Berry- ma forse quest’opera potrebbe ispirare i genitori a trovare un piccolo giardino segreto vicino a loro”.

Il Children’s Museum of the Arts  è nato per “iniziare i bambini e le loro famiglie al potere trasformativo delle arti dandogli l’opportunità di fare arte fianco a fianco con artisti al lavoro”. Ian Berry, dal canto suo, nel corso degli anni ha lavorato spesso con le scuole del Regno Unito. E dice di essere felice tutte le volte che un bambino gli scrive raccontandogli di aver fatto un lavoro ispirato alla sua opera.
E’ da pazzi pensare che entrambi i nostri paesi  (UK e Stati Uniti ndr) eccellano nei campi creativi e guidino davvero il mondo- dice Ian Berry- Tuttavia, a scuola viene costantemente detto che le arti sono un hobby con visioni dell'artista morto di fame”.

L’installazione ’Secret Garden’ di Ian Berry al Children’s Museum of the Arts di New York si potrà visitare fino ad Aprile 2018. (via Creative Boom)

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Will Ellis

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Will Ellis

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Will Ellis

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Will Ellis

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Lucinda Grange

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Will Ellis

Ian Berry, Secret Garden, Children's Museum of the Arts. Photography by Will Ellis

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