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Biennale di Venezia 2017| Lee Wan che si è inventato un’equazione per calcolare esattamente quanti minuti al giorno lavoriamo per mangiare

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Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Entrando nella sala che il Padiglione Corea della Biennale di Venezia ha dedicato all'installazione "Proper Time" dell’artista Lee Wan, si resta catturati nel vedere le pareti tappezzate da dicine di orologi.

Sono tutti uguali ma su ognuno è scritto un nome, un anno, una professione e un Paese diversi. Ci si chiede perché ed inevitabilmente si pensa al destino, allo scorrere del tempo, alla morte.
Sbagliato!

'Proper time’ non parla di questi temi. In modo molto più pragmatico l’artista si è domandato quanti minuti al giorno tocca lavorare per pagarsi da mangiare. E quanto questo lasso di tempo cambia a seconda del Paese in cui si abita, della professione e dell’età. Visto che messa così la questione presenta parecchie variabili e che Lee Wan è una persona precisa, ha deciso di inventare una formula matematica per calcolarlo con esattezza. E l’ha usata su un campione da lui personalmente esaminato. Per completare ‘Proper time”, ha impiegato 5 anni in cui ha viaggiato in vari Paesi e intervistato persone diverse tra loro.

"I pasti sono necessità universali che trascendono i confini, le classi e le religioni- spiega Lee Wan- Presentando i valori dei pasti per la colazione in diverse condizioni (determinate dal PIL, dalla cultura, dalla tradizione, dalla religione, dalla ricchezza, dalle differenze di lavoro e dalle differenze biologiche), ho inteso quantificare il tempo di ogni singolo sforzo nei termini della teoria del tempo di Einstein (…)E poi mi sono chiesto se è anche possibile valutare la propria vita in base a tali norme economiche." (…)

Al centro della stanza che ospita l’installazione ‘Proper time’, è stata posizionata la scultura ‘For a better Tomorrow’ che riproduce l’iconografia classica delle immagini di propaganda. Ma i personaggi sono senza volto e l’opera è stata realizzata in plastica.

"I miei genitori hanno vissuto i giorni della ricostruzione e dello sviluppo del Paese lasciato in rovina dalla Guerra di Corea (…)"Per un domani migliore", "L’esportazione è l’unica via d’uscita" e "Il sudore di oggi è la felicità di domani" sono slogan di quei tempi. Il governo coreano, allora, promuoveva gli slogan e le immagini propagandistiche che promettevano un futuro migliore come risultato di un duro lavoro nel presente. Il tempo è passato, e adesso noi viviamo quel futuro. Ma guarda il nostro Paese oggi."

Lee Wan presenta anche altre opere nel Padiglione Corea della Biennale di Venezia 2017. La mostra intitolata “Counterbalance: the stone and the mountain”, curata da Lee Daehyung, lo vede protagonista insieme a Cody Choi.

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Immagine by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Immagine by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by ©artbooms

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion

Lee Wan, Padilgione Corea, Biennale di Venezia 2'017. Photo by Korean Pavilion


La fotografia aerea di Berhard Lang che trasforma le costellazioni di allevamenti ittici nei disegni di un bambino

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Bernhard Lang ha scattato ‘Fish Farms’ sorvolando la costa greca con un elicottero. Una serie di immagini aeree in bilico tra l’astrattismo e i disegni dei bambini, che invece ritrae l’acquacoltura nel Mediterraneo.

E porta impresso lo stile inconfondibile del fotografo tedesco sempre in perfetto equilibrio sul crinale che separa lo stupore del vedere dall’impegno sociale.
Nel caso di ‘Fish Farms’ Lang riflette sugli allevamenti ittici e sui risvolti economico-ambientali di un argomento controverso (secondo alcuni sarebbero l’unico mezzo per aiutare i Paesi in via di sviluppo mentre altri ritengono che l’impatto ambientale sarebbe devastante).
Lang però in alcune dichiarazioni rilasciate a Colossal si limita a sottolineare quanto il futuro della Grecia e quest’industria siano legati.
"L'industria dell'acquacoltura greca è importante per il Paese” dichiara "E lo è di più a causa della cattiva situazione economica in Grecia. Il pesce, soprattutto spigola e orata, è una delle loro più grandi esportazioni agricole, accanto all'olio d'oliva ". Ma i prezzi del pesce d’allevamento sono scesi sempre più negli ultimi anni minacciando un settore cruciale.
Formalmente le costellazioni di allevamenti ittici di Bernhard Lang sembrano composizioni astratte tracciate da un illustratore di cartoni animati. Un succedersi di cerchi leggeri, vagamente infantili, su fondo blu. Come se la sola distanza avesse completamente trasfigurato il soggetto. Del resto questa è una caratteristica costante nella fotografia aerea di qualità.

Bernhard Lang si è specializzato negli scatti ad alta quota che cattura con coraggio. I soggetti sono vari ma il tema ricorrente è quello dell’industria e dell’impatto degli insediamenti produttivi sull’ambiente. Come nella recente serie ‘Manila’ o in ‘Tulip Fields’.  Per vedere altre immagini di questo fotografo si possono consultare i suoi account Behance ed Instagram.

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Gli archeologi scoprono uno smiley dipinto su una brocca di 3700 anni fa

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Un team di archeologi italiani e tuchi ha recentemente scoperto una faccina sorridente stilizzata, una vera e propria emoji, dipinta su una brocca del 1700 AC.

Il vaso a collo corto, che veniva usato per contenere un liquido dolce, è bianco e i sottili tratti di pittura nera che definiscono lo smiley sono passati inosservati agli studiosi fino a quando non è arrivato nel laboratorio di restauro.

“La faccia sorridente è indubbiamente lì (non ci sono altre tracce di pittura sul vaso)- ha detto il direttore degli scavi, Dottor. Nicolò Marchetti, dell’Università di Bologna- E non ci sono paragoni nell’antica arte ceramica di quest’area”.

La brocca con lo smiley è stata rinvenuta al sudest della Turchia (non lontano dal confine siriano), in un grande sito di interesse archeologico, su cui sorgeva la città ittita di Karkemish.

Sul sito, oggetto di scavi da 7 anni a questa parte, hanno lavorato 25 esperti. D’altra parte quest’area è stata al centro di spedizioni archeologiche da anni ormai. Una delle prime fu quella di Lawrence d’Arabia nel 1911.

Tornando ai giorni nostri, nel sito che comprende Karkemish, oltre alla brocca con lo smiley gli studiosi hanno trovato numerosi altri manufatti.

Nel 2018 il governo turco intende trasformare il sito in un museo a cielo aperto. La brocca con lo smiley dipinto, sarà invece esposta nel vicino Museo Archeologico di Gaziantep

E pensare che fino ad ora si credeva che lo smiley fosse un'invenzione dell'artista statunitense Harvey Ball. Datata 1963 (via thehistoryblog)

“La Foresta dove vivono gli Dei”: Teamlab da vita a fiori, alberi e rocce nel parco Mifuneyama Rakuen

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Teamlab. "Resonating Forest - Cherry Blossoms and Maple"

Teamlab. "Resonating Forest - Cherry Blossoms and Maple"

Il collettivo giapponese di artisti designers ma anche programmatori ed ingegneri Teamlab (famoso in Italia per il padiglione Giappone di Expo 2015) quest’estate firma “A Forest where Gods live” (fino al 9 ottobre), un’esposizione monumentale e scenografica in cui i confini tra arte e natura vengono meno.
“A Forest where Gods live” consiste in 14 grandi opere digitali interattive disseminate nei 500 metri quadri di boschi e sentieri del Mifuneyama Rakuen Park nella prefettura di Saga.

Il parco, al cui centro si erge la montagna di Mifuneyama, è stato creato 172 anni fa ed è caratterizzato da un fondersi dell’area curata dei giardini con la foresta selvaggia. Al suo interno un albero di canfora di 300 anni.

Il progetto eseguito da Teamlab per realizzare “A Forest where Gods live” è chiamato “Digitized Nature” (Natura Digitalizzata)  dove la “Natura diventa arte.” L’idea che sta alla base di tutto è che con la tecnologia digitale si può fare arte nella natura senza danneggiarla.

Fedeli a questo motto Teamlab hanno trasformato il parco in un universo parallelo in cui brandelli di miti e leggende nipponiche prendono vita. Dalle rocce che luccicano, senza mancare di illuminarsi di più se qualcuno si avvicina ( "Sea of rocks of oblivion"), agli alberi che si tingono dei colori dell’arcobaleno (anche loro interattivi. "Resonating Forest - Cherry Blossoms and Maple"). Fino ad una cascata digitale che si infrange su un reale ed antichissimo masso sacro ( "Universe of water particles on a sacred rock"). Ci sono poi due interpretazioni digitali dell’antica arte della Calligrafia ( "Split rock and enso" e "Rock wall spatial calligraphy, continuous life - Five hundreds arhats") ma anche le rovine di una ‘bathhouse’ che rivivono e si trasformano qualcosa a cavallo tra un eco-sistema e un videogioco("Graffiti nature - Living in the ruins of a bathhouse" in cui gli spettatori sono invitati a disegnare fiori o animali che vengono poi scannerizzati ed entrano a far parte della bathhouse in cui si mangiano a vicenda o interagiscono con i visitatori stessi).
L’esposizione di Teamlab è stata sponsorizzata da Shiseido. E proprio in onore dello sponsor è l’opera “WASO tea house”, una casa da tè nelle cui tazze sbocciano e crescono dei fiori virtuali.
Da non dimenticare, infine, la performance ‘Drawing of the water surface created by the dance of koi and boats’". L’opera si svolge in un laghetto la cui acqua è diventata interattiva grazie a dei sensori. Così le carpe koi proiettate sulla superficie seguono la barca che naviga e scappano a seconda del suo procedere (creando appunto dei disegni che ricordano i quadri di Pollock).

Di Teamlab ho già parlato qui (immagini via Teamlab; gift by Designboom)

il parco di Mifuneyama Rakuen

il parco di Mifuneyama Rakuen

Teamlab, "Drawing on the water surface created by the dance of koi and boats"

Teamlab, "Drawing on the water surface created by the dance of koi and boats"

Teamlab, "Ever blossoming life rock",

Teamlab, "Ever blossoming life rock",

Teamlab,  "Universe of water particles on a sacred rock"

Teamlab,  "Universe of water particles on a sacred rock"

Teamlab, "Sea of rocks of oblivion"

Teamlab, "Sea of rocks of oblivion"

Teamlab, "Split rock and enso"

Teamlab, "Split rock and enso"

Teamlab. "Resonating Forest - Cherry Blossoms and Maple"

Teamlab. "Resonating Forest - Cherry Blossoms and Maple"

Teamlab,  "Life is continuous light -Azalea valley"

Teamlab,  "Life is continuous light -Azalea valley"

Teamlab, "Graffiti nature - Living in the ruins of a bathhouse"

Teamlab, "Graffiti nature - Living in the ruins of a bathhouse"

Teamlab, "Rock wall spatial calligraphy, continuous life - Five hundreds arhats"

Teamlab, "Rock wall spatial calligraphy, continuous life - Five hundreds arhats"

Teamlab, "Cut out continuous life - Forest path"

Teamlab, "Cut out continuous life - Forest path"

Teamlab, "Memory of continuous life"

Teamlab, "Memory of continuous life"

Teamlab, "WASO tea house - Flowers bloom in an infinite universe inside a teacup"

Teamlab, "WASO tea house - Flowers bloom in an infinite universe inside a teacup"

Borondo che con vetro, pittura e luce si è inventato la street-art che si muove e cambia aspetto

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Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Lo street-artist spagnolo Gonzalo Borondo non usa tecnologie o processi meccanici solo pittura e installazione ma riesce a far muovere le sue sculture. Gli bastano vetro e luce. Un po’ per il suo stile pittorico e un po’ perché usa lastre dipinte in sequenza ma il risultato fa pensare alla cronofotografia ottocentesca e agli esperimenti pionieristici d Eadweard Muybridge.

Con la luce artificiale in ambienti chiusi i fotogrammi scorrono piuttosto veloci come nei primi esperimenti dei precursori del cinema, mentre con quella naturale, all’aperto, le figure dipinte in sequenza sembrano spostarsi appena e non sempre, ma compensano quest’incertezza con la capacità di assorbire il paesaggio circostante e cambiare aspetto a seconda dell’ora del giorno.

Gonzalo Borondo ha lavorato parecchio in Italia. E’ dell’anno scorso a Roma, infatti, l’installazione ‘Ubiquitas’ in cui una donna dipinta su diverse lastre di vetro sembrava incedere come una modella in passerella, salvo poi moltiplicarsi e ballare.

Quest’anno a Catanzaro in occasione del festival di street-art “Altrove” ha realizzato “Aria” un’installazione monumentale composta da ben 185 vetri serigrafati (ognuna delle 73 figure che si sono formate accostandoli è stata poi completata a mano). L’opera, collocata all’aperto, nello storico e scenografico Complesso Monumentale di San Giovanni, gioca con il paesaggio e con la mutevolezza delle luci. La sequenza di lastre di vetro in questo caso, non è posta in linea retta, per meglio raggiungere l’obbiettivo.

Oltre a Gonzalo Borondo alla quarta edizione di “Altrove” hanno partecipato il francese 3ttman, l’argentino Jorge Pomar (Amor), gli italiani Ciredz e Andreco.

“Altrove” si è concluso ma resta possibile sostenere il festival comprando le creazioni dello street-artist sul loro shop. Oppure seguire Borondo sui suoi account Youtube e Facebook.

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Ubiquitas", Paradizo Inclinato (Ex Dogana, Roma), Photo: Fabiano Caputo

Gonzalo Borondo, "Ubiquitas", Paradizo Inclinato (Ex Dogana, Roma), Photo: Fabiano Caputo

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Gonzalo Borondo, "Aria", Festival Altrove4, Photo: ©AngeloJaroszukBogasz

Le casette per gli uccelli degli ottomani che sembrano palazzi riccamente ornati

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diverse foto courtesy of Caner Cangül

diverse foto courtesy of Caner Cangül

Un elemento curioso e non molto conosciuto dell’architettura ottomana in Turchia è l’abitudine di inserire una casa per uccelli sulla facciata degli edifici simbolo delle città. Moschee, ponti, locande e biblioteche possedevano una loro casetta per i volatili. Sulle fontane poi erano inseriti anche dei minuscoli abbeveratoi.

Ma più che semplici ricoveri per piccioni, rondini o passeri sembrano palazzi in miniatura. Con più di un ingresso e ricchi decori ricalcano l’architettura delle residenze più importanti del paese. A volte si articolano su due piani.

Gli ottomani avevano preso ad inserire queste dimore per pennuti sugli edifici per preservarne le facciate dalla corrosione. Ma anche perché si riteneva che chi offre riparo agli uccellini sarebbe stato ripagato con eventi fortunati.

La presenza e la cura con cui queste casette erano realizzate ha contribuito a rafforzare l’amore per gli animali. Tutt’ora i turchi hanno una particolare predilezione per gli uccelli che sfamano e che durante le migrazioni rallegrano numerosi alcune delle loro città (l’autore del blog istambulperitaliani riferisce che ad Istambul si fermano spesso: cicogne, falchi, gru e aironi).

Negli anni queste casette sono state chiamate con nomi diversi, talvolta divertenti altre poetici, come “kus köskü” (padiglioni degli uccelli), güvercinlik” (colombaie) e “serçe saray” (palazzo passero).
La maggior parte di queste casette che caratterizzarono così tanto l’architettura ottomana è andata distrutta. Degli esempi tuttavia sono ancora presenti in tutte le città turche. La più antica risale al XVI secolo ed è parte del Büyükçekmece Bridge di Instambul. (via Colossal)

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photo collage by Colossal

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Le 1100 puntine da disegno di Toshihiko Shibuya che spuntano come minuscoli funghi dal muschio di un ruscello

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All photos courtesy Toshihiko Shibuya

All photos courtesy Toshihiko Shibuya

L’artista Toshihiko Shibuya ha recentemente completato “White Generation 2” una complessa e poetica installazione nel cuore di un incontaminato bosco giapponese. 

Minimale e fragile, la scultura di Toshihiko Shibuya è composta da 1100 puntine da disegno bianche a testa tonda, posizionate a mano. Tre metri in altezza per 25 di lunghezza, si dipana sul muschio dei rami caduti in un ruscello della foresta di Hobetsu, nella parte centro meridionale dell’isola di Hokkaido. 

L’opera è il seguito della monumentale installazione “White Generation”, realizzata dall’artista nella metropolitana di Sapporo. Ma se nel primo caso le puntine da disegno ricordavano cellule e muffe, calate nell’ambiente naturale fanno pensare a minuscoli funghi, bozzoli, lucciole. Come se il semplice fatto di inserirle in un bosco, assecondando le movenze frastagliate e sinuose del paesaggio, avesse fatto automaticamente avanzare l’orologio evolutivo.

E soprattutto, a differenza della prima scultura, “White Generation 2” fa lavoro di squadra con l’ambiente circostante (come nel caso della serie “Snow Pallet” di cui ho parlato qui e qui).

“Se pioverà forte, qualche pezzo vicino alla superficie dell’acqua sarà sommerso- spiega Toshihiko Shibuya- In questo caso la vista del ruscello trasmetterà la memoria di violenti temporali estivi. Credo che sia importante godersi lo spettacolo dell’acqua che si alza o si abbassa ed essere in grado di percepire i mutamenti del paesaggio giorno dopo giorno”.

Profondamente legato all’estetica giapponese il lavoro di Toshihiko Shibuya si iscrive nel solco della Land Art ed è caratterizzato da interventi minimali. “White Generation 2” evoca il cocciuto germinare ed espandersi della vita e ricorda lo scorrere ciclico del tempo. 

Ad inserire questo concetto in una dimensione più ampia di sicuro concorre il fatto che Hobetsu si trova in un’area nota per i reperti fossili e che a renderla famosa è stato il ritrovamento di uno scheletro di dinosauro particolarmente integro e ben conservato. 

L’installazione è stata realizzata nell’ambito della mostra a cielo aperto Ponpetsu Art Fort 2017 che inaugurerà sabato prossimo (fino al 20 agosto).

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Oltre 100 musei del mondo regalano libri da colorare per adulti. Da scaricare gratis, per combattere lo stress e imparare la Storia dell’Arte

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Alla campagna “Color our Collections” hanno partecipato più di cento tra musei, librerie, giardini botanici e istituzioni varie sparse in tutto il mondo (prevalentemente Stati Uniti ed Europa). Ognuno di loro ha creato dei libri da colorare per adulti basati sulle opere conservate nelle sale o negli archivi delle collezioni permanenti.

Buona parte di questi libri può essere scaricata dal pc o dallo smartphone. Tutto è rigorosamente gratis.

Il materiale a disposizione è tanto e vario. Ci sono delle romantiche illustrazioni botaniche e dei disegni medioevali decisamente splatter; ci sono immagini tratte da libri rari, diagrammi scientifici, architettura, paesaggi e motivi decorativi Art Noveau.

Le istituzioni che hanno partecipato sono disparate, tra loro anche la Biblioteca comunale di Trento e la Libreria Vaticana. Tra i grandi musei compaiono lo Smithsonian e il Metropolitan Museum (già impegnato in una massiccia operazione di open culture, come potete leggere qui e qui).

“Color our Collections” è stata organizzata dalla The New York Accademy of Medicine Library (la libreria dell’accademia di medicina di New York) e a conti fatti è una grande festa globale, a cui tutti possono partecipare a prescindere dalle barriere linguistiche e geografiche, combattendo lo stress e imparando l’arte, magari sotto l’ombrellone, da soli o facendosi aiutare dai più piccoli. (via Mymodernmet)

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Biennale di Venezia 2017| Guida essenziale per la sopravvivenza del visitatore

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QUANTO TEMPO CI VUOLE:

La Biennale di Venezia si articola in due locations importanti e relativamente vicine tra loro: i Giardini della Biennale e l’Arsenale. A cui si aggiungono alcuni padiglioni nazionali ed eventi (talvolta importanti) disseminati per tutta la città.
Bisogna calcolare più o meno una giornata per visitare per i soli Giardini. E almeno una mezza giornata abbondante per l’Arsenale. Se poi si desidera vedere una mostra esterna alle due sedi principali i tempi si possono allungare molto.

E’ il caso della personale di Damien Hirst a Palazzo Grassi (“Treasures from the Wreck of the Unbelievable”) che è molto corposa e quindi inadatta a una visita veloce.

damien hirst, detail of mickey carried by diver underwater photography by christoph gerigk

damien hirst, detail of mickey carried by diver
underwater photography by christoph gerigk

A chi ha intenzione di fare una gita in giornata consiglio di arrivare presto (apre alle 10) e puntare tutto su i Giardini. Se alla fine rimanesse un po’ di tempo l’Arsenale non è comunque lontano.

eliza douglas in anne imhof, faust, 2017 german pavilion, 57th international art exhibition – la biennale di venezia photography © nadine fraczkowski courtesy: german pavilion 2017, the artist

eliza douglas in anne imhof, faust, 2017 german pavilion, 57th international art exhibition – la biennale di venezia
photography © nadine fraczkowski
courtesy: german pavilion 2017, the artist

COSA VEDERE:

Ai Giardini della Biennale, oltre alla mostra curata da Christine Macel “VIVA ARTE VIVA” (comincia al Padiglione Centrale nei Giardini e termina all’Arsenale), è da vedere assolutamente il Padiglione Germania (la mostra “Faust”, premiata con il Leone d’Oro per le partecipazioni nazionali, di Anne Imhof, che lo costituisce è una performance, quindi occhio agli orari degli spettacoli).
Sono poi altamente consigliati: il Padiglione Brasile, il Padiglione Egitto, il Padiglione Giappone e il Padiglione Israele.

biennale-arte-venezia-2017-04

All’Arsenale, oltre a “VIVA ARTE VIVA”, è da vedere soprattutto il Padiglione Italia ( “Il mondo magico”, opere di Roberto Cuoghi, Adelita Husni-Bey e Giorgio Andreatta Calò, curato da Cecilia Alemani).  Ma merita molto anche il Padiglione Nuova Zelanda.
Se poi si vuole completare la visita con qualcosa che i critici hanno deprecato ma che al pubblico sembra piacere assai, non fatevi scappare il Padiglione Argentina e il Padiglione Cina (quest’ultimo è proprio alla fine del percorso).

biennale-arte-venezia-2017-05

FILE, CODE & co:

Se il giorno o l’orario sono particolarmente favorevoli è possibile che dobbiate fare la fila per l’ingresso in Biennale ma non vi dovete spaventare perché di sicuro la cosa vi rallenterà solo di poco. A creare problemi invece possono essere le code interne al percorso.

Se volete assicurarvi di vedere il Padiglione Germania partite presto e appena entrati nei Giardini correte alla vostra destra, anche così aimè probabilmente dovrete fare la fila.
File quasi sicure anche per vedere il Padiglione Stati Uniti, per osservare le minuscole opere del Padiglione Giappone da un buco nel pavimento e per salire sul camion rovesciato di fronte al Padiglione Austria. Qualche rischio, in fine, per il Padiglione Grecia.

biennale-arte-venezia-2017-07

DOVE MANGIARE ECC::

Le location sono disseminate di punti ristoro.

Per prezzo del biglietto, riduzioni varie, informazioni sul catalogo, visite guidate ed eventi collaterali vi rimando al sito della Biennale d’Arte 2017

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“Floating Cloud”, la nuvola che fa luce e vola sul comodino by Richard Clarkson

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Floating Cloud è la nuova creazione del designer newyorkese Richard Clarkson. Si tratta di una lampada in fibra di poliestere che nella forma riproduce in tutto e per tutto una nuvoletta. E vola davvero.
Floating Cloud è la naturale evoluzione di un prototipo, realizzato da Clarkson in un numero limitato di esemplari lo scorso anno.

Ma se la prima versione era di dimensioni piuttosto impegnative e si sollevava al massimo 4 centimetri, la nuova è piccola quanto basta per far sempre bella figura in un salotto o su un comodino e dovrebbe restare permanentemente sospesa a quasi 7 centimetri dalla base.

Le nuvole sono uno delle forme ricorrenti nella produzione di Richard Clarkson che ne ha già fatto lampadari e applique. Floating Cloud ne ricalca la maggior parte delle caratteristiche ma è più evoluta. Tenuta in sospensione da un complesso sistema composto da magneti, elettromagneti e un sensore, cambia colore come i suoi predecessori ma è più piccola, risponde ai cambiamenti dell’ambiente circostante (musica, voci) e soprattutto si libra al di sopra del basamento come una vera e propria nuvoletta.

Benchè la nuova nuvoletta di Clarkson sia adesso una produzione di serie non bisogna crederla meno esclusiva, visto il prezzo non proprio popolarissimo. 

Per saperene di più su Floating Cloud di Richard Clarkson : qui (via Colossal)

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Un gigante abbatte il soffitto di una banca abbandonata di Berlino. By Mario Mankey

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Ci sono calcinacci dappertutto e due piedi giganti sembrano aver sfondato il soffitto. L’impressione è che il resto del corpo della enorme creatura si trovi ai piani superiori. Ma per fortuna l’installazione dello street-artist spagnolo Mario Mankey in una banca abbandonata di Berlino si ferma lì.
A giudicare dai piedi comunque il gigante di Mankey non sembra un tipo che fa paura. Magari uno che fa sorridere, figlio com’è di un cartone animato e di una fiaba.

L’installazione temporanea “Ego Erectus” di Mario Mankey è stata realizzata nell’ambito dellagrande manifestazione di street-art The Haus a Berlino.

A The Haus hanno partecipato in totale 165 artisti cui è stato affidato il compito di riempire di opere un imponente edificio abbandonato di Berlino.
Il palazzo fatiscente, che è stato sede di una banca, è una grande costruzione (ha 5 piani) e verrà distrutto. Quindi tutte le opere (o comunque la stragrande maggioranza) sono effimere, destinate ad essere ridotte in macerie insieme alla inconsueta sede espositiva.

Mario Mankey ha cominciato a fare street-art nel 2010, vive a Berlino, dipinge e realizza sculture su larga scala. Nella sua produzione ricorre la figura di un pagliaccio triste sempre sfiorato dall’ala della tragedia.

Il lavoro di Mario Mankey puo’anche essere seguito su Instagram. (via Designboom)

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Ascolta la celestiale musica incisa su questi coltelli del Rinascimento

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Image courtesy Victoria & Albert Museum

Image courtesy Victoria & Albert Museum

Attualmente sono conservati in Inghilterra, in parte nel Victoria and Albert Museum di Londra, in parte nella collezione del Fitzwilliam Museum di Cambridge, ma i “Notation Knives” sono dei raffinati manufatti italiani. Realizzati tra il 1500 e il 1550 da un artigiano sconosciuto, sono stati in possesso di almeno una ricca famiglia italiana. La loro particolarità è che hanno delle melodie incise sulla lama.

Non si tratta di coltelli usati per offendere ma di semplici posate. Ed è proprio questo che lascia gli storici sconcertati. Infatti, se la lama sembra l’ideale per tagliare una bistecca o giù di lì, l’etichetta del Rinascimento non lascia spazio a dubbi: simili compiti erano riservati alla servitù.
L’incisione è stata realizzata su entrambi i lati delle lame. Da una parte si trova la musica di una benedizione per il pasto che verrà e dall’altra quella di ringraziamento per il cibo appena consumato.
Kirstin Kennedy curatrice del Victoria & Albert Museum dice che “noi non siamo del tutto sicuri” di come questi “splendidi coltelli” venivano usati. Ciò probabilmente rimarrà un mistero anche se gli storici avanzano diverse teorie (che venissero usati solo in particolari occasioni o cerimonie ecc)

Stà di fatto però che il coro del Royal College of Music ha cantato e registrato le melodie incise su questi coltelli. Che chiunque può ora ascoltare o persino scaricare direttamente da qui. Per godere di altre interpretazioni dei talentuosi coristi c’è il sito del V&A Museum. (via Open Culture)

Notation Knives, XVI secolo. Artista sconosiuto. Fitzwilliam Museum Collection, Cambridge. Photo by Johan Oosterman.

Notation Knives, XVI secolo. Artista sconosiuto. Fitzwilliam Museum Collection, Cambridge. Photo by Johan Oosterman.

Le sculture in legno di Hsu Tung Han iperrealiste e pixelate come ologrammi mal riusciti

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Le sculture in legno del taiwanese Hsu Tung Han non aspirano a rappresentare la realtà ma degli ologrammi mal riusciti.

Sono ritratti iperrealisti con dei pixel cubici qua e là, che interrompono l’illusione dello spettatore di trovarsi di fronte a un proprio simile (seppur color legno) e lo riportano alla cruda realtà: sta’ guardando la copia scultorea di un’immagine digitale. Ma di un’immagine tridimensionale che in quanto tale un po’ di inquietudine la crea.

Così come i soggetti che Han sceglie, usciti pari-pari dalle pagine di una rivista patinata o dai fotogrammi di un film. E poco importa se si tratta di imperatrici cinesi del passato (o abbigliate piu’ o meno come tali), di modelle a passeggio, o di gangster con tanto di tatuaggi.
Con i pixel, insomma, Han sospende la narrazione, gela l’attimo e un pochino anche l’osservatore.

Per arrivare a questi risultati Hsu Tung Han deve perdere molto tempo per ogni pezzo, facendo schizzi preparatori e modelli di creta prima di cominciare a lavorare il legno.

Guardate da vicino le sculture sono raffinate opere di intarsio dove i pixel sono anche la scusa per giocare con la tessitura del legno.

Per vedere altre stupefacenti opere di Hsu Tung Han basta dare un’occhiata al suo account Flickr. (via Colossal)

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Oltre mille antichi libri illustrati giapponesi sono online per essere consultati e scaricati. Gratis!

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I musei Smithsonian hanno appena terminato di digitalizzare oltre mille libri giapponesi pubblicati tra il periodo Edo e l’era Meiji (cioè tra il 1600 e il 1912). Tutti finemente illustrati dagli artisti del “Mondo fluttuante”. Che adesso chiunque potrà sfogliare o scaricare gratis.

I testi, stampati su carta preziosa e decorati con grazia, fanno parte della collezione d’arte orientale messa insieme dal magnate delle ferrovie Charles Lang Freer e dal padre delle moderne pubblicità farmaceutiche Arthur M. Sackler adesso conservata allo Smithsonian Institution's National Museum of Asian Art di Washington.  La raccolta, tra le altre cose, comprende sculture in pietra egiziane, dipinti cinesi, vasellame coreano e, appunto, libri giapponesi.

“Spesso zeppi di bellissime illustrazioni multicolore" scrive Reiko Yoshimura sul blog di Smithsonian Libraries"molti titoli sono stati dipinti da importanti artisti tradizionali giapponesi e pittori ukiyo-e ('mondo fluttuante') come Ogata Korin (1658-1716), Ando Hiroshige (1797-1858) e Katsushika Hokusai (1760-1849)."

I libri contengono mille e cento illustrazioni, spesso frazionate su più pagine, per un totale 41mila500 immagini separate.

La Yoshimura (sempre sul blog dello Smithsonian) consiglia di godersi la bellezza di “Cento vedute del Monte Fuji” di Hokusai, ma di non trascurare neppure “Trentasei attori popolari” di Utagawa Toyokuni.

Per poterli apprezzare leggere il giapponese (per di più antico) non è necessario, sia per le illustrazioni che per la bellezza dei caratteri, realizzati secondo l’arte tradizionale della calligrafia.

La collezione di antichi libri illustrati giapponesi dello Smithsonian è stata digitalizzata ad alta risoluzione per permettere di godere al massimo della consultazione di questi bellissimi testi artistici. Tutti possono essere scaricati in vari formati. (via Open Culture)

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Le cupole rinascimentali in rete metallica e lamiera ondulata sospese a Le Bon Marché by Edoardo Tresoldi

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Edoardo Tresoldi, "Aura", Le Bon Marché Rive Gauche.  Tutte le foto di Roberto Conte

Edoardo Tresoldi, "Aura", Le Bon Marché Rive Gauche.  Tutte le foto di Roberto Conte

L’artista italiano Edoardo Tresoldi (di cui ho già paralato qui) ha sospeso due cupole gemelle nella hall del grande magazzino iconico Le Bon Marché Rive Gauche di Parigi. L’installazione, composta da una scultura in filo metallico ed una in lamiera ondulata, si intitola Aura e rievoca i fasti architettonici del Rinascimento.

L’affascinate intervento di Tresoldi è la realizzazione artigianale e tangibile delle ricostruzioni digitali degli antichi edifici fiorentini. Un po’ nostalgico e un po’ filoinnovatore, dal punto di vista estetico fa pensare a dei fantasmi che appaiono nell’aria e, giocando con la luce, si fondono all’ambiente circostante.
Una delle due cupole che costituiscono Aura è fatta in filo metallico (come le altre opere che hanno reso famoso il giovane artista milanese), mentre l’altra è stata realizzata in lamiera ondulata. Secondo Tresoldi, che ha lavorato con questo materiale per la prima volta, la seconda scultura è simile ad “un guscio vuoto” ed evoca il “decadimento delle cose”, mentre la prima è il riflesso dell’ idea che abbiamo dell’ architettura stessa.

"Sono come reliquie esposte in un museo di storia naturale del XVIII secolo -spiega l'artista - osservandoli, i visitatori tracciano la storia dell’architettura attraverso i suoi componenti".
Sia come sia, le due parti dell’installazione dialogano continuamente l’una con l’altra e riescono fondersi talmente bene con la hall di Le Bon Marché, da dare l’impressione che le scale mobili del grande magazzino siano parte dell’opera stessa.

D’altronde per il lavoro di Edoardo Tresoldi si può parlare di pittura tridimensionale come con quello di Chiharu Shiota che ha esposto a Le Bon Marché proprio l’anno scorso. Prima di loro era toccato ad Ai Weiwei occupare il prestigioso spazio. E prima ancora all’architetto Tadao Ando. Tresoldi è il più giovane del gruppo.

Aura di Edoardo Tresoldi rimarrà nel grande magazzino parigino fino al 22 ottobre.

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Jeff Koons collabora con Snapchat e le sue sculture in realtà aumentata si trasformano in adesivi 3d pronti ad appiccicarsi dentro le foto di tutti noi

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Se dovesse capitarvi di vedere la fotografia di una scultura di Jeff Koons proprio sotto casa vostra non dovete agitarvi. Purtroppo il vostro quartiere non ha fatto un improvviso salto di qualità ma non avete neppure le allucinazioni.

Si tratta invece di un progetto di realtà aumentata realizzato dal famoso artista statunitense Jeff Koons  in collaborazione con Snapchat. Che inaugura una sezione dedicata all’arte dalla nota app (art.snapchat.com).

La collaborazione tra i due in realtà doveva essere una sorpresa presentata in grande stile dopo un periodo di sufficiente attesa. Ma lunedì  un ingegnere informatico (Jonah Grant) ha messo avanti l’orologio del suo computer confondendo il sistema e il segreto è stato svelato in anticipo.

Adesso alcune sculture di Koons, oltre a stagliarsi virtualmente in una selezione di location iconiche in cui non sono installate nella realtà, sono diventate degli adesivi 3d che gli utenti potranno inserire nelle loro fotografie o nei video. Diffondendo il lavoro di Koons come un virus nei paesaggi immortalati dagli utenti Snapchat di tutto il mondo.

Questo progetto arriva dopo che l’artista ha disegnato una collezione di borsette per Louis Vuitton (recentemente ha anche realizzato una ballerina gonfiabile gigante di cui ho parlato qui) e rappresenta un ulteriore passo nella democratizzazione del lavoro di JeffKoons. Dimostrando ancora una volta, semmai ce ne fosse stato bisogno, la sua abilità negli affari (via NewYorkTimes, Designboom).

ERRATA CORRIGE: E' possibile girare video o farsi serfies insime alla sculture in realtà aumentata di Jeff Koons solo in un ristrettissimo numero di locations scelte dall'artista e consultabili sul sito della app. Da tutte le altre parti la "lente" con le sculture di Koons non apparirà tra le opzioni.

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Il candore delle cave di Carrara che nella fotografia aerea di Bernhard Lang si fa Astrattismo

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all photos © bernhard lang

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La serie “Carrara Marble” del fotografo tedesco Bernhard Lang (di cui ho parlato qui e qui) sembra un susseguirsi di rappresentazioni astratte tono su tono. Molto raffinate, molto pittoriche, persino materiche.
In realtà, invece, si tratta di fotografie aeree delle cave di marmo di Carrara sulle Alpi Apuane.

Bernhard Lang, che nelle sue immagini mixa estetica e temi sociali, ha già riletto il paesaggio italiano nella serie “Adria” (sul litorale Adriatico). In “Carrara Marble” ha lavorato con la tavolozza composta quasi esclusivamente di toni del crema e del bianco, riuscendo comunque ad arrivare a delle immagini convincenti.

Perfarlo, Lang, senza abbandonare la fotografia aerea che è un po’ il suo marchio di fabbrica, ha dovuto cambiare spesso l’angolazione delle inquadrature.

“L’eccezionale qualità di questo marmo bianco è nota sin dai tempi dei romani- spiega Bernhard Lang- quando l’impero romano già lo usava per la costruzione dei suoi più prestigiosi monumenti e sculture. Il nobile marmo di Carrara è stato valorizzato da da vari artisti e maestritra i quali Michelangelo, Da Vinci, Bernini e Rodin. Le cave di Carrara hanno prodotto più marmo di ogni altro posto sulla terra. Lavorare nelle cave è stato pericoloso e continua ad esserlo ai giorni nostri”.

Del tutto priva di pericoli non è neppure la tecnica di Bernhard Lang, che per catturare i suoi scatti si sporge da piccoli aerei macchina fotografica alla mano.

Per vedere qualche foto in più di “Carrara Marble” o dare un’occhiata ad altre serie scattate dal fotografo con sede a Monaco, si può consultare il suo sito internet o seguire Bernhard Lang sui suoi account Instagram e Behance.

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Urs Fischer turba Firenze con due sculturone di cera multicolore munite di stoppino e un botto in Piazza della Signoria

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Urs Fischer, Big Clay #4 2013-2014 Kindly loaned by the Foundation for Contemporary Art “Victoria – The Art of Being Contemporary” Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Urs Fischer, Big Clay #4 2013-2014 Kindly loaned by the Foundation for Contemporary Art “Victoria – The Art of Being Contemporary” Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Ci sono due ritratti iperrealisti in cera con tanto di stoppino, destinati a sciogliersi alla fine della mostra e un gigantesco monumento astratto in metallo alla creatività. 'In Florence' (a cura di Francesco Bonami) è un grande evento di arte pubblica firmato da Urs Fischer, che dopo Jeff Koons e Jan Fabre ha occupato Piazza della Signoria con delle opere che fanno discutere. Ma non solo, perché stavolta hanno fatto anche il botto.

Le polemiche ci sono sempre, fanno parte del battage pubblicitario di un grande evento. E il tris di sculture monumentali “Urs Firscher in Florence” in Piazza della Signoria non poteva essere da meno. Ma stavolta qualcosa è andato storto davvero e c’è mancato poco che il gioioso chiacchiericcio di una grande mostra pubblica non si trasformasse in tragedia, quando il corposo ritratto di cera dell’antiquario (ed ideatore dell’iniziativa) Fabrizio Moretti è caduto e si è rotto.
Per fortuna non è successo nulla, a parte il fatto che i visitatori della mostra del famoso artista svizzero (residente a New York) Urs Fischer, potranno vedere ben poco del trio di opere che avrebbero dovuto costituire l’evento.

Urs Fischer, Fabrizio e Francesco (particolare) 2017 Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E (in primo piano l'opera che è andata distrutta)

Urs Fischer, Fabrizio e Francesco (particolare) 2017 Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E (in primo piano l'opera che è andata distrutta)

Urs Fischer in Florence’ si componeva della monumentale scultura metallica ‘Big Clay #4(posizionata direttamente sulla piazza) e dei due ritratti in cera a grandezza naturale ‘2 Tuscan Men(sull‘Arengario di Palazzo Vecchio). Dedicati a Fabrizio Moretti ('Fabrizio') e al curatore della mostra Francesco Bonami ('Francesco', che l‘artista ha rappresentato in piedi su un frigorifero pieno, con uno smartphone in mano). Dei quali, come già detto, sopravvive solo quello di Bonami. Che è stato rimosso “temporaneamente” per dei controlli.

Urs Fischer, Fabrizio e Francesco 2017 Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Urs Fischer, Fabrizio e Francesco 2017 Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Due ritratti che attraverso la consumazione della cera diventeranno corpi astratti- si legge sul sito dell’associazione promotrice dell’evento Mu.se - La scelta dei due personaggi nasce da uno studio della loro fisionomia compiuto dall’artista nel corso dei vari incontri avuti con loro per la preparazione di questo progetto; c’è sempre, infatti, nel lavoro di Fischer un elemento biografico filtrato attraverso una riflessione formale ed estetica. Le due figure resteranno esposte per circa un mese, fino al completo scioglimento.”

Urs Fischer, Big Clay #4 2013-2014 Kindly loaned by the Foundation for Contemporary Art “Victoria – The Art of Being Contemporary” Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E (l'opera completamente in alluminio è alta 12 metri)

Urs Fischer, Big Clay #4 2013-2014 Kindly loaned by the Foundation for Contemporary Art “Victoria – The Art of Being Contemporary” Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E (l'opera completamente in alluminio è alta 12 metri)

La gigantesca ‘Big Clay #4’ invece, in alluminio e alta ben 12 metri, non si può definire un’opera effimera. “E’soltanto apparentemente monumentale- dice Francesco Bonami- In realtà è un monumento alla semplicità e alla primordialità del gesto umano che plasma la forma. Uno sguardo più approfondito della superficie di alluminio dell’opera scoprirà le impronte digitali delle dita dell’artista. La scultura infatti è l’ingrandimento di piccoli pezzi di creta modellati dall’artista nel suo studio. Un monumento alla manualità e all’azione creativa più semplice e quotidiana”.

Urs Fischer, Fabrizio, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E(la scultura andata distrutta è il ritratto dell'antiquario Fabrizio Moretti)

Urs Fischer, Fabrizio, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E(la scultura andata distrutta è il ritratto dell'antiquario Fabrizio Moretti)

Sarà possibile visitare “Urs Fischer in Florence” fino al 21 di gennaio 2018, un po’ intristiti perché si vedrà una mostra ridotta, ma rincuorati dal fatto che le casse pubbliche non perderanno neanche un euro per l’incidente dei giorni scorsi. Visto che il ritratto andato distrutto, per quanto destinato a sciogliersi, era rigorosamente assicurato. (via Firenze.Repubblica, La Nazione-Firenze)

Urs Fischer, Francesco, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E (l'opera è il ritratto del critico Francesco Bonami e attualmente è stata ritirata per sicurezzza. La misura sarà solo temporanea)

Urs Fischer, Francesco, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E (l'opera è il ritratto del critico Francesco Bonami e attualmente è stata ritirata per sicurezzza. La misura sarà solo temporanea)

Urs Fischer, Fabrizio e Francesco 2017 Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E (in primo piano l'opera che è stata temporaneamente rimossa)

Urs Fischer, Fabrizio e Francesco 2017 Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E (in primo piano l'opera che è stata temporaneamente rimossa)

Urs Fischer, Francesco, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Urs Fischer, Francesco, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Urs Fischer, Francesco, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Urs Fischer, Francesco, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Urs Fischer, Big Clay #4 (particolare) 2013-2014 Kindly loaned by the Foundation for Contemporary Art “Victoria – The Art of Being Contemporary” Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Urs Fischer, Big Clay #4 (particolare) 2013-2014 Kindly loaned by the Foundation for Contemporary Art “Victoria – The Art of Being Contemporary” Courtesy of the Artist Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Urs Fischer, Francesco, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E

Urs Fischer, Francesco, 2017, Courtesy of the Artist, Photo by Mattia Marasco / MUS.E

La magica installazione di Hidemi Nishida che ha fatto galleggiare decine di sedie su un lago giapponese

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All photo by Hidemi Nishida

All photo by Hidemi Nishida

L’installazione dell’architetto ed artista giapponese Hidemi Nishida ‘Fragile Chairs’ è semplice e magica. Si tratta solo di sedie, in fondo. Ma messe così, a galleggiare sul lago di Poroto nell’isola di Hokkaido, fanno tutto un altro effetto. Come se ne stessero lì, pronte a far riposare gli spiriti.

Il lavoro di Hidemi Nishida si può inserire nel solco della land art nonostante la forte connotazione poetica e surreale. In genere usa oggetti d’uso quotidiano, così come sono, o modificati quel tanto che basta per cambiare la percezione dello spazio nell’osservatore.
Sono interventi minimali i suoi, ma carichi di suggestioni. E’ il caso dell’installazione ‘Fragile Chairs’ e di tutta la serie ‘Fragile’ di cui fa parte.

“L’emergere silenzioso delle seggiole dall’acqua- scrive Nishida sul suo sito web- implica l’esistenza di un campo che gli uomini non possono veramente raggiungere. L’installazione in qualche modo visualizza come una distanza tra l’invisibile e il nostro spazio ordinario, riuscendo a creare una connessione tra questi due piani”.

‘Fragile Chairs’ ci parla anche delle contrastanti percezioni che gruppi di persone con motivazioni diverse hanno delle stesso luogo. O di come questo stesso spazio viene letto nel corso del tempo.

Il lago di Poroto, infatti, è una meta turistica ma è anche considerato un santuario dall’antico popolo indigeno degli ‘ainu’ che tutt’oggi vive nell’estremo nord del Giappone.
La tradizione animista degli ainu poi, e il loro profondo legame con la natura, non è certo estranea alla poetica di ‘Fragile Chairs’.

Hidemi Nishida vive tra Tokio e la Norvegia. Per vedere altre sue poetiche installazioni ci sono il suo sito internet e l’account Facebook. (via Designboom)

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Ai Weiwei alza più di 300 recinti per tutta New York. Apre oggi la mega mostra d‘arte pubblica ‘Good fences make good neighbors’

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Ai Weiwei Arch, 2017; Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Arch, 2017; Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm
Photo: Ai Weiwei Studio

Le opere di Ai Weiwei sono talmente tante che il Public Art Fund ha dovuto prevedere anche una mappa interattiva per aiutare il visitatore di ‘Good fences make good neighbors’ a trovarle tutte. Ci sono grandi installazioni ma anche lavori bidimensionali che hanno semplicemente sostituito le pubblicità. Per un totale di oltre 300 opere disseminate per cinque distretti di New York.
Come dice il titolo della mostra rappresentano tutte, in un modo o nell’altro, delle recinzioni.

Inaugura oggi a New York l’attesissima esposizione dell’artista cinese Ai Weiwei, ‘Good fences make good neighbors’ (un detto anglosassone che significa ‘Buoni confini fanno buoni vicini’ o meglio ’buoni recinti fanno buoni vicini’). Il progetto, realizzato per celebrare il 40esimo compleanno dell’organizzazione senza scopo di lucro ‘Public Art Fund’, e che di fatto trasforma la città in un museo diffuso è il “culmine” della riflessione di Ai Weiwei sulla crisi migratoria e sull’arbitrarietà dei confini territoriali. Si tratta probabilmente della più estesa mostra d’arte pubblica mai dedicata ad un solo artista.

E di sicuro è il più complesso progetto mai portato a termine dal Public Art Fund e da Weiwei stesso.

I pezzi più importanti sono in realtà pochi. Si tratta di: Golden Cage (Central Park. Manhattan), Arch (Washington Square Park, Manhattan), Circle Fence (Unisphere, Flushing Meadows Corona Park, nel Queens). A questi lavori si affiancano una serie di installazioni “ in e tra” edifici privati; una serie di opere al mercato di Essex Street; degli interventi scultorei (a dire il vero piuttosto minimali) in 10 fermate dei bus. Accanto a questo corpo di sculture ci sono 200 banner appesi ai lampioni della città e oltre 100 immagini di migranti fotografati da Ai Weiwei durante il giro dei campi profughi nel corso dei quali ha girato il film “Human Flow” (presentato quest’anno al Festival del Cinema di Venezia).

La gabbia dorata (Golden Cage) è stata collocata a Central Park poco lontano dalla Trump Tower. Ai Weiwei ha così commentato alla trasmissione ’Democracy Now’ la scelta di questa installazione site-specific: “So che il nostro presidente ama l’oro, così questo è per il suo apprezzamento.” In realtà ai Weiwei ha un grande studio a Berlino, oltre a quello in Cina, ma nessuna base negli Stati Uniti. D'altra parte ‘Good fences make good neighbors’ nasce anche per attrarre l’interesse dei media. Come quasi tutto quello che fa Ai Weiwei del resto. Inoltre Ai Weiwei, da show man consumato. cerca sempre di costruirsi un senso di appartenenza e di stabilire un empatia con il pubblico, in tutti i luoghi che ospitano le sue mostre

Good fences make good neighbors’ di Ai Weiwei potrà essere visitata fino all’11 di febbraio 2018. Per trovare le installazioni nella grande mela c’è la mappa interattiva del Public Art Fund che permette anche alle persone di raccontare la propria storia di migrazione verso New York.

Ai Weiwei Gilded Cage, 2017 Mild steel paint Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Gilded Cage, 2017
Mild steel paint
Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm
Photo: Ai Weiwei Studio

ai-weiwei-ny-good-fences-make-good-neighbour-golden-gides-01 Ai Weiwei Arch, 2017 Galvanized mild steel and mirror polished stainless steel Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Arch, 2017
Galvanized mild steel and mirror polished stainless steel
Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm
Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Arch, 2017 Galvanized mild steel and mirror polished stainless steel Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Arch, 2017
Galvanized mild steel and mirror polished stainless steel
Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm
Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Circle Fence 2017 Powder coated mild steel, polypropylene netting Courtesy of the artist Photo: Timothy Schenck

Ai Weiwei Circle Fence 2017
Powder coated mild steel, polypropylene netting
Courtesy of the artist
Photo: Timothy Schenck

Ai Weiwei Circle Fence 2017 Powder coated mild steel, polypropylene netting Courtesy of the artist Photo: Timothy Schenck

Ai Weiwei Circle Fence 2017
Powder coated mild steel, polypropylene netting
Courtesy of the artist
Photo: Timothy Schenck

Ai Weiwei Exodus 2017 CNC-cut Polymar truck tarp Courtesy of the artist Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Exodus 2017
CNC-cut Polymar truck tarp
Courtesy of the artist
Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Harlem Shealter 1, 2017 Galvanized mild steel Courtesy of the artist Photo: jason Wyche

Ai Weiwei Harlem Shealter 1, 2017
Galvanized mild steel
Courtesy of the artist
Photo: jason Wyche

Ai Weiwei Arch, 2017 Galvanized mild steel and mirror polished stainless steel Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Arch, 2017
Galvanized mild steel and mirror polished stainless steel
Courtesy of Ai Weiwei Studio/ Frahm & Frahm
Photo: Ai Weiwei Studio

Ai Weiwei Brooklyn Shealter 4, 2017 Galvanized mild steel Courtesy of the artist Photo: jason Wyche

Ai Weiwei Brooklyn Shealter 4, 2017
Galvanized mild steel
Courtesy of the artist
Photo: jason Wyche

Ai Weiwei Banner 151, 2017 CNC-cut Polymar truck tarp Courtesy of the artist Photo: Jason Wyche

Ai Weiwei Banner 151, 2017
CNC-cut Polymar truck tarp
Courtesy of the artist
Photo: Jason Wyche

Ai Weiwei Banner 13, 2017 CNC-cut Polymar truck tarp Courtesy of the artist Photo: Jason Wyche

Ai Weiwei Banner 13, 2017
CNC-cut Polymar truck tarp
Courtesy of the artist
Photo: Jason Wyche

Ai Weiwei Banner 112, 2017 CNC-cut Polymar truck tarp Courtesy of the artist Photo: Jason Wyche

Ai Weiwei Banner 112, 2017
CNC-cut Polymar truck tarp
Courtesy of the artist
Photo: Jason Wyche

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