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Le illustrazioni di flora e fauna di Amok Island che creano un gigantesco atlante naturalistico sui muri del mondo

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Come un moderno naturalista lo street-artist di origine olandese Amok Island quando visita un angolo del pianeta fa illustrazioni della flora e della fauna. Solo che invece di usare fogli di carta e acquerelli Amok Island si serve di muri e grandi barattoli di colore. Anche lo stile minimale influenzato com’è dalle tendenze del design farebbe storcere il naso agli antichi esploratori. La palette di colori così attentamente abbinati tra loro, poi, desterebbe autentico sconcerto. Ma i tempi cambiano si sa. Quello che resta è la passione per lo spettacolo della natura e la voglia di raccontarlo a chi in quel luogo non andrà mai o ricordarlo agli altri.

Amok Island che adesso vive in Australia ha creato enormi murali in venticinque paesi. Le sue opere si basano sempre su immagini di specie autoctone. Ha una particolare predilezione per la vita sottomarina e la flauna costiera. Non a caso ha scelto un nome d’arte che sembra quello di un’ allegra isoletta dei mari del sud (amok significa baldoria).

Se non fosse un artista, sarebbe un biologo-dice il suo sito internet- Fortemente ispirato alle illustrazioni scientifiche dei primi naturalisti, il suo lavoro racchiude l'accuratezza e la precisione rappresentative dei disegni tecnici, utilizzati a fini identificativi. Il tema dell'esplorazione naturale e della conservazione è una corrente sotterranea forte e costante nella sua pratica artistica.”

Oltre alle grandi opere pubbliche Amok Island dipinge dei quadri in cui mantiene inalterati stile e soggetti. Fa anche delle graziose stampe. Il suo lavoro si può consultare scorrendo il sito web o dando un’occhiata ai suoi account Facebook e Instagram. (via Colossal)

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L’incredibile storia dei locali notturni sugli alberi che animavano la frizzante Parigi degli Impressionisti

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Erano gli anni degli Impressionisti e la vita ‘en plain air’ era quasi un dovere per i parigini anche quando si trattava di divertirsi. Complici i confini meno definiti tra città e campagna per oltre un secolo gli abitanti della ville lumiere si sono spinti fino al vicino villaggio di Le Plessis-Piquet (che adesso si chiama Le Plessis- Robinson) per vivere delle incantevoli serate sulle cime degli alberi. 

Iniziò tutto con il successo di una sala da ballo all’aperto. La ‘guinguette’ (il nome deriva dal vino bianco) ebbe una fortuna che convinse il proprietario del ristorante Joseph Gueusquin a costruire Le Grand Robinson nel 1848. Il cabaret era una casa sull’albero.
Si trovava tra i rami di un grande castagno e si chiamava così perché Gueusquin aveva cercato di riprodurre la casa sull’ albero descritta nelle avventure di Robinson Crusoe.

Le persone se ne innamorarono e i ristoranti sugli alberi cominciarono a spuntare come funghi in tutta la cittadina. Nei decenni che seguirono la concorrenza fu spietata: alcuni ospitarono gare di asini mentre altri costruirono altissime altalene. Gueusquin dal canto suo alla fine decise di cambiare il nome del suo ‘Le Grand Robinson’ in ‘Le Vrai Arbre de Robinson’ per rivendicare il suo primato.

Nel 1909, dopo sessant’anni di successi delle case sugli alberi, il comune diventò ufficialmente Le Plessis- Robinson. Oggi nessun locale simile è ancora attivo (l’ultimo chiuse nel ’76), tuttavia in silenzioso ricordo di quell’epoca festosa restano dei tavoli attaccati agli alberi della città. (via Jeroen Apers)

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Yee Sookyung ha punteggiato con torri di pietre ricoperte d’oro la zona demilitarizzata coreana

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 Installation view. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Labor Party Office; Rocks, 24K gold leaf, urethane paint Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

Installation view. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Labor Party Office; Rocks, 24K gold leaf, urethane paint Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

L’artista sudcoreana Yee Sookyung è conosciuta soprattutto per la serie ‘Translated vase’, che ha presentato anche alla Biennale di Venezia di quest’anno. ma la sua opera è in realtà molto variegata. Si va dalla pittura all’illustrazione alla scultura fino alla performace. Che li accomuna tutti è una sottile ironia e il richiamo alle tradizioni coreane, con una particolare predilezione per quelle artistiche in ambito religioso.
E’ il caso delle installazioni ‘You were there: DMZ Project 2017’ che Yee Sookyung ha realizzato per la zona demilitarizzata coreana (la DMZ che separa il democratico sud dal regime di Kim Jong-un).

Le sculture che punteggiano in pianta stabile un’area relativamente sicura del confine, sono fatte di rocce prelevate in zone di conflitto. O meglio. a volte sono semplici rocce posate per terra, altre solo piccole torri di sassi. Una forma minimale che contrasta con la ricchezza della foglia d’oro 24 carati di cui ognuna è stata ricoperta. Yee Sookyung per rivestirle ha usato un’antica tecnica coreana che serve a dorare in modo perfetto le statue di Buddha.

Le opere (installate lo scorso anno prima della fragile distensione portata dalle Olimpiadi) risaltano nel grigiore del paesaggio circostante con la ricchezza del loro colore e messi come sono, i sassi, sembrano ironizzare sul precario equilibrio della zona di confine.

La zona demilitarizzata che divide la Penisola Coreana in due parti, a dispetto del nome è la frontiera più armata del mondo. Intorno, però, per via dell’abbandono dell’uomo, si è creato un parco naturale ‘involontario’ . Tanto che l’area è oggi riconosciuta come uno degli habitat della zona temperata meglio preservati al mondo

Per avere altre informazioni sull’opera di Yee Sookyung si può consultare il suo sito internet.

 Installation view. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

Installation view. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

  Detail. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

 Detail. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Courtesy of the artist Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

 You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Rocks, 24K gold leaf, urethane paint Courtesy of the artist Supported by Cheorwon-gun, Korea Curated by Samuso Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Peace and Culture Square; Rocks, 24K gold leaf, urethane paint Courtesy of the artist Supported by Cheorwon-gun, Korea Curated by Samuso Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

 Detail. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Labor Party Office; Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

Detail. You Were There: DMZ Project 2017 : DMZ Labor Party Office; Photo: Yang Ian ⓒYeesookyung

Le fotografie di Alma Haser che fondono i gemelli identici in un unico puzzle

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Nella sua ultima serie. la giovane fotografa tedesca Alma Haser. ha ritratto dei gemelli omozigoti e ha trasformato le loro immagini in puzzle. Ma non si è limitata a questo, perché ha anche rimescolato i pezzi tra loro.

Per completare il lavoro Alma Haser ha dovuto scattare delle fotografie a diverse coppie di gemelli. Poi ha fatto stampare i ritratti su puzzler da 500-1000 tessere. E a questo punto, pazientemente, ha assemblato le immagini mischiando i ritratti: 50 per cento di tessere da una fotografia e cinquanta per cento dall’altra. In questo modo la Haser riflette sul concetto di identità e esprime la sua fascinazione per la genetica.

Le opere che ne risultano non sembrano frutto del mix di fotografie scattate a due soggetti separati. A tradire il segreto solo qualche piccola discordanza che diventa più evidente negli occhi dei soggetti.

La Haser aveva già usato il puzzler per lavorare sui gemelli identici in passato. Ma in precedenza si era limitata al viso lasciando il resto del corpo inalterato.

Recentemente qualche pezzo della serie è stato esposto nella collettiva ‘The Body Issue: Human Stories’ alla NOW Gallery di Londra. Ma per seguire il lavoro di Alma Haser non è necessario spingersi oltremanica perché si possono sbirciare le sue foto sia sul sito intenet che attraverso l’account instagram dell’artista. (via Hi-Fructose)

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The Florence experiment| Carsten Höller e Stefano Mancuso faranno crescere piante sulla facciata di Palazzo Strozzi usando le emozioni come fertilizzante

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 Carsten Höller e Stefano Mancuso, 'The Florence experiment', Palazzo Strozzi; tutti i rendering by Michele Giuseppe Onali

Carsten Höller e Stefano Mancuso, 'The Florence experiment', Palazzo Strozzi; tutti i rendering by Michele Giuseppe Onali

Ci vorrà una certa dose di coraggio e spirito d’avventura ma i visitatori della mostra di Carsten Höller e Stefano Mancuso, ‘The Florence Experiment’, a Palazzo Strozzi, potranno dire di essere stati utili alla scienza. 

L’esposizione, firmata dall’artista concettuale tedesco Carsten Höller (da sempre attivissimo in Italia; ne ho parlato qui) in collaborazione con il neurobiologo vegetale teorico dell‘intelligenza delle piante, Stefano Mancuso, che dal 19 aprile ridisegnerà gli spazi eterni ed interni di Palazzo Strozzi a Firenze, sarà un mix di arte, ricerca scientifica, amore per la natura e divertimento. Con appena una spruzzata di luna park a dare ancora più sapore al tutto.

‘The Florence Experiment’ si svilupperà intorno a due dei famosi (e temibili per alcuni) scivoli acrobatici di Carsten Höller che collegheranno il terrazzo al secondo piano con il cortile rinascimentale sottostante. Non senza girare su se stessi, naturalmente. Per un totale di 20 metri di discesa ad alta velocità, che i visitatori affronteranno dopo essere stati muniti di una pianta. 
Questo perché, immediatamente dopo, il pubblico passerà in un vero e proprio laboratorio allestito nei locali della Strozzina, dove degli scienziati rileveranno le variazioni nei parametri fotosintetici della pianta e le molecole volatili. L’idea è che " le emozioni di eccitazione, sorpresa, divertimento, timore vissute dai partecipanti” influenzino in modo diverso le reazioni di diversi tipi di piante.

Sempre a questo scopo verranno allestite due sale cinematografiche diverse. In una gli spettatori si godranno dei divertenti brani di famose commedie, mentre nell’altra tremeranno di fronte a un mix di scene tratte dai film horror.
Da entrambe le sale partiranno dei tubi che serviranno a incanalare i composti chimici volatili emessi dalle persone divertite e impaurite. Così queste sostanze raggiungeranno la facciata di Palazzo Strozzi e influenzeranno in modo diverso le piante di glicine disposte ad arrampicarsi proprio lì con una serie di fili. Si prevede che l’orrore e l’allegria del pubblico influenzeranno visibilmente la direzione di crescita delle piante.

The Florence Experiment’ di Carsten Höller in collaborazione con Stefano Mancuso sarà curata da Arturo Galasino direttore della Fondazione di Palazzo Strozzi di Firenze. Si tratterà della prima importante mostra d'arte contemporanea dopo quelle di Ai Weiwei e Bill Viola dello scorso anno e precederà la personale di Marina Abramović. Sarà possibile visitarla fino al 26 agosto come fosse un bizzarro omaggio creativo alla bellezza della natura durante la stagione calda. (via Designboom

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Le macrofotografie (non photoshoppate) dei fiocchi di neve che nascono con nel cuore strani e coloratissimi disegni

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 Snowflakes. All photos © Don Komarechka

Snowflakes. All photos © Don Komarechka

Il fotografo canadese Don Komarechka lavora con diversi tipi di tecniche, dagli ultravioletti agli infrarossi, ma uno dei suoi cavalli di battaglia è la macrofotografia e il suo soggetto prediletto sono i fiocchi di neve. Li fotografa uno per uno. svelandone l’inaspettata, geometrica, bellezza e l’inesauribile varietà di forme. Ma anche la vivacità dei colori. Perché anche alcuni fiocchi di neve sono colorati. Anzi coloratissimi.

Autore del libro ‘SSky Crystals: Unraveling the Mysteries of Snowflakes’, in cui ha messo in fila le immagini ingrandite centinaia di volte dei transitori cristalli, affiancandole a spiegazioni scientifiche, Don Komarechka, ha dovuto scattare e riunire 50 primi piani di ogni  fiocco di neve per arrivare alla singola macrofotografia. Infatti, visto il soggetto e l’alto dettaglio richiesto, non sarebbe stato possibile che una sola foto fosse a fuoco in ogni sua parte.
Le immagini però non sono state alterate. In alcune si vedono dei colori straordinariamente vivaci che si irradiano dal centro del fiocco. Accanto si possono notare addirittura dei disegni. Ebbene, tutto ciò non è frutto di una rielaborazione digitale ma un processo naturale.

All'inizio, era un po 'difficile da credere- ha spiegato Komarechka- Com’è possibile? Dopo aver visto migliaia di fiocchi di neve di tutte le varietà, da dove proviene questo misterioso colore? La soluzione è semplice, anche se le condizioni richieste sono rare: sottili interferenze. Nel crescere un fiocco di neve, spesso crea una cavità o una bolla dentro di se, dove il lato interno del cristallo cresce più lentamente del bordo superiore e inferiore. Ciò costringe gli strati di ghiaccio su entrambi i lati della bolla ad essere incredibilmente sottili, così tanto che la luce interferirà con se stessa.”

Per vedere altre macrofotografie dei fiocchi di neve, con le loro forme complesse e i loro incredibili colori si può consultare il sito internet di Don Komarechka. (via PetaPixel)

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Il cielo (nuvoloso) in una stanza… dell’The Armory Show. By Berndnaut Smilde

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 Berndnaut Smilde, Nimbus Litta, 2013, digital c-type print on aluminium, 75 x 100 cm, 125 x 166 cm, ed. of 6+2 ap. Courtesy the artist and Ronchini Gallery

Berndnaut Smilde, Nimbus Litta, 2013, digital c-type print on aluminium, 75 x 100 cm, 125 x 166 cm, ed. of 6+2 ap. Courtesy the artist and Ronchini Gallery

La settimana scorsa all’Armory show di New York bastava girare l’angolo nel momento giusto per ritrovarsi faccia a faccia con una nuvola. Se ne stava lì, piazzata su un palco per qualche istante, come una starlette timorosa, solo che invece di pretendere applausi, dopo un po’ svaniva (salvo poi riapparire in momenti casuali). Non la rappresentazione di una nuvola, si badi bene, ma una nuvola vera, in tutto il suo fluttuante, meteorologico, splendore.

Miracoli dell’artista olandese Berndnaut Smilde.

 Berndnaut Smilde, Nimbus Litta, 2013, digital c-type print on aluminium, 75 x 100 cm, 125 x 166 cm, ed. of 6+2 ap. Courtesy the artist and Ronchini Gallery

Berndnaut Smilde, Nimbus Litta, 2013, digital c-type print on aluminium, 75 x 100 cm, 125 x 166 cm, ed. of 6+2 ap. Courtesy the artist and Ronchini Gallery

Il New York times ha inserito la sua installazione ‘Breaking the Fourth Wall’ alla fiera d’arte contemporanea Armory Show, tra le opere che si devono assolutamente vedere. Ma i successi collezionati di Berndnaut Smilde nei suoi primi quarant’anni sono già tanti. 

 Berndnaut Smilde, Nimbus II, 2012, , lambda print on dibond, 75 x 112 cm, ed. of 3+2 AP. Courtesy the artist and Ronchini Gallery

Berndnaut Smilde, Nimbus II, 2012, , lambda print on dibond, 75 x 112 cm, ed. of 3+2 AP. Courtesy the artist and Ronchini Gallery

Ha fotografato gli stilisti più importanti in grandi stanze signorili accanto alle sue nuvole. E ha girato il mondo per fare apparire altrettante nubi e poi catturarle con una macchina fotografica o una videocamera. 

E’ l’artista dell’effimero. Sospeso tra la poesia e una strana metafisica concettuale. Ma la sua arte non è legata ai cambiamenti del meteo. Berndnaut Smilde le nuvole le crea, con un bizzarro procedimento che si è inventato da solo, perché, ha detto: “Volevo vedere l’effetto che avrebbe fatto una nuvola in una stanza”.

Per realizzare questo desiderio, Smilde ha fatto diversi tentativi, finchè non ha deciso di irrorare l’aria con del vapore acqueo, prima di pompare del fumo da una macchina. Così le particelle d’acqua si legano al fumo e nascono le sue installazioni fluttuanti.

 Berndnaut Smilde, Nimbus Midland, 2017, c-type print on aluminium, 125 x 190 cm _ 75 x 114 cm. ed. 6+2AP. Courtesy the artist and Ronchini Gallery

Berndnaut Smilde, Nimbus Midland, 2017, c-type print on aluminium, 125 x 190 cm _ 75 x 114 cm. ed. 6+2AP. Courtesy the artist and Ronchini Gallery

Ovviamente le sculture sono la quintessenza dell’effimero.

I lavori della serie Nimbus- spiega il suo sito web- presentano un transitorio momento di presenza in una specifica location. Possono essere interpretati come un segno di perdita o di divenire. O soltanto come un frammento di un dipinto classico”.

In effetti questa serie di  Smilde piace tanto proprio perché è riuscito a reinventare il genere ‘paesaggio’ tanto caro agli antichi maestri, senza fargli perdere una virgola del suo fascino originario. Ma anche senza venire a patti con l’alchimia che fa dell’arte contemporanea quello che è.

Il progetto di Berndnaut Smilde al The Armory Show è stato presentato dalla Ronchini Gallery di Londra che in quest’occasione ha messo in vendita una fotografia dell’artista olandese accettando solo pagamenti in bitcoin.

Le cripto valute, infatti, hanno recentemente attirato l’attenzione del mercato dell’arte. E sono diversi gli esperimenti fatti in questa direzione. Senza contare che con la loro natura volatile ben si adattano alle mutevoli installazioni effimere di Smilde.

 Berndnaut Smilde, Nimbus Powerstation, 2017, c-type print on aluminium, 150 x 214.5cm, courtesy  the artist and Ronchini Gallery

Berndnaut Smilde, Nimbus Powerstation, 2017, c-type print on aluminium, 150 x 214.5cm, courtesy  the artist and Ronchini Gallery

15 scatti da urlo tra i finalisti del concorso fotografico dello Smithsonian

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 Rain, © Seyed Mohammad Sadegh Hosseini.  Niloofar, una giovane nomade iraniana

Rain, © Seyed Mohammad Sadegh Hosseini. Niloofar, una giovane nomade iraniana

In questo periodo sono diversi i concorsi fotografici internazionali che si concludono annunciando i vincitori per l’anno che ci siamo lasciati alle spalle. Tra questi uno dei più prestigiosi è lo Smithsonian Photo Contest che fa capo alla Smithsonian Institution. E che per la sua quindicesima edizione ha ricevuto 48mila contributi fotografici da 155 paesi. Tra cui l’Italia ovviamente.

Lo Smithsonian.com’s 15th Annual Photo Contest ha recentemente annunciato i sessanta scatti finalisti. Le fotografie sono divise in sei categorie ( Natural World, The American Experience, Travel, People, Altered Images, Mobile ) che porteranno ad altrettanti vincitori.

Le votazioni per decretare il vincitore della Reader’s Choise sono aperte a tutti. Si può votare fino alle 14 del 26 marzo e è possibile ripetere la preferenza ogni giorno (alla stessa immagine o ad un’altra).

Il 26 Smithsonian annuncerà i nomi dei vincitori del Grand Prize, della Reader’s Choice e dei sei fotografi che si sono aggiudicati il primato nelle categorie. Il 27 marzo, invece, si aprirà ufficialmente la sedicesima edizione del concorso.

In questo post troverete solo 15 fotografie ma potete vedere tutti i sessanta scatti finalisti sul sito del Smithsonian.com’s 15th Annual Photo Contest. E naturalmente votare per le vostre immagini preferite.

 Split Screen.ì, © Jassen Todorov.  Stagni industriali nel New Mexico (foto aerea)

Split Screen.ì, © Jassen Todorov. Stagni industriali nel New Mexico (foto aerea)

 Joy, © Erika Valkovicova.  Un cucciolo di foca gode della brezza mattutina sull'isola di Düne in Germania

Joy, © Erika Valkovicova. Un cucciolo di foca gode della brezza mattutina sull'isola di Düne in Germania

 Making Incense, © Tran Tuan Viet.  Fasci di incenso per le cerimonie buddiste in Vietnam

Making Incense, © Tran Tuan Viet. Fasci di incenso per le cerimonie buddiste in Vietnam

 Lion's Mane Jellyfish, © Martin Prochazka.  Una medusa criniera di leone

Lion's Mane Jellyfish, © Martin Prochazka. Una medusa criniera di leone

 Salt Field Workers, © Martin Prochazka.  Un gruppo di donne lavorano in perfetta sincronia in una salina vietnamita

Salt Field Workers, © Martin Prochazka. Un gruppo di donne lavorano in perfetta sincronia in una salina vietnamita

 Red Chili Pepper Pickers, © Azim Khan Ronnie.  Un gruppo di lavoratori circondati dai peperoncini in Bangladesh

Red Chili Pepper Pickers, © Azim Khan Ronnie. Un gruppo di lavoratori circondati dai peperoncini in Bangladesh

 Breakfast at the Weekly Market, © Thong Huu.  Colazione in un bar affollato prima del mercato settimanale in Vietnam

Breakfast at the Weekly Market, © Thong Huu. Colazione in un bar affollato prima del mercato settimanale in Vietnam

 Soul of the Winter Woods, © Swaroop Singha Roy.  Un cervo nella foresta durante una fredda mattinata invernale

Soul of the Winter Woods, © Swaroop Singha Roy. Un cervo nella foresta durante una fredda mattinata invernale

 A Belgian Angel, © Alain Schroeder.   Un uomo torna a casa dopo il festival di Mayboom a Bruxelles

A Belgian Angel, © Alain Schroeder.  Un uomo torna a casa dopo il festival di Mayboom a Bruxelles

 The King, © Pedro Jarque Krebs.  Ritratto di un avvoltoio

The King, © Pedro Jarque Krebs. Ritratto di un avvoltoio

 Seeing Double, © Vikas Datta.  Volo di gabbiani che proiettano le loro ombre su una spiaggia

Seeing Double, © Vikas Datta. Volo di gabbiani che proiettano le loro ombre su una spiaggia

 Sardines in the Sun, © Giacomo Marchione.  Sardine che emergono da un muro di corallo nelle Filippine

Sardines in the Sun, © Giacomo Marchione. Sardine che emergono da un muro di corallo nelle Filippine

 The Boatman, © Debashis Mukherjee.  Un barcaiolo legge un giornale sulla sua barca

The Boatman, © Debashis Mukherjee. Un barcaiolo legge un giornale sulla sua barca

 Affection, © Thomas Chadwick.  Un cucciolo abbraccia affettuosamente la madre

Affection, © Thomas Chadwick. Un cucciolo abbraccia affettuosamente la madre


Busti mutanti, uova bitorzolute e piatti giganti. Ecco le nuove sculture in porcellana di Limoges di Juliette Clovis

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 Juliette Clovis, El Yunque, All photos Courtesy Juliette Clovis

Juliette Clovis, El Yunque, All photos Courtesy Juliette Clovis

L’artista francese Juliette Clovis continua a dibattersi tra artigianato, design e scultura. Tra tradizione e innovazione. Viene da se che le sue creazioni debbano avere qualche crisi di identità. Sarà per questo che nel mondo immaginato dalla Clovis tutto è solo momentaneamente immobile, mentre trasformazione e mutazione sono dietro l’angolo. E sono sempre, solo l’ultimo cambio di pelle di una lunga serie.

Juliette Clovis (di cui ho parlato varie volte; per esempio qui) fa sculture in porcellana di Limoges. Un materiale nobile ma tradizionale, tanto legato a lunghi periodi della storia delle arti applicate e dell’economia da essere passato un po’ di moda. Ma più della porcellana a essere difficilmente affrontabili senza diventare ripetitivi sono i soggetti classici che con essa venivano rappresentati: busti, uova, piatti, fiori e uccelli.

Ovviamente la cosa più facile sarebbe scartarli e passare subito ad altro. La Clovis invece li usa tutti, ma non prima di averli fusi tra loro, in un tripudio di forme e decorazioni impazzite. Così i suoi busti di donna ricoperti da motivi a pennello (che in passato, avrebbero potuto stare su un vaso) e da decine di farfalle, o fiori, o ancora, come ultimamente, da coralli e fauna sottomarina varia, sembrano i personaggi mutanti di un film di fantascienza. 

A volte Juliette Clovis, poi, dà nuova verve a  un soggetto preso dal repertorio classico giocando sulle dimensioni (questo procedimento è da tempo usato, per esempio, in pittura). E’ il caso di Ofrenda e Daintree della serie ’This is not tableware’. In cui un piatto in porcellana di limoges totalmente bianco è stato riempito di piccole sculture di uccelli e fiori in un brulichio di vita e di piacevolezza visiva. Il piatto si appende a parete e fin qui tutto normale. Ma il piatto è anche enorme.

In un’altra serie, la Clovis ha riproposto un soggetto classico come quello delle uova. Ricoprendole persino di metalli preziosi. Salvo poi renderle tutte bitorzolute. Tanto che più che a Faberge fanno pensare a dei litchi.

Uno dei nuovi busti in porcellana di Juliette Clovis è in mostra all’ American Museum of Ceramic Art di Pomona  in California durante la Fahrenheit biennale (fino al 22 giugno). Ma per vedere le nuove e vecchie opere dell’artista francese si può semplicemente consultare il suo sito web.

 Juliette Clovis, El Yunque

Juliette Clovis, El Yunque

 Juliette Clovis, Elysee

Juliette Clovis, Elysee

 Juliette Clovis, Elysee

Juliette Clovis, Elysee

 Juliette Clovis, Izanami

Juliette Clovis, Izanami

 Juliette Clovis, Izanami

Juliette Clovis, Izanami

 Juliette Clovis, Daintree

Juliette Clovis, Daintree

 Juliette Clovis, Daintree (particolare)

Juliette Clovis, Daintree (particolare)

 Juliette Clovis, Daintree

Juliette Clovis, Daintree

 Juliette Clovis, Forbidden Fruits

Juliette Clovis, Forbidden Fruits

 Juliette Clovis, Ofrenda

Juliette Clovis, Ofrenda

 Juliette Clovis, Ofrenda

Juliette Clovis, Ofrenda

 Juliette Clovis, Ofrenda

Juliette Clovis, Ofrenda

 Juliette Clovis, Flying Vase

Juliette Clovis, Flying Vase

 Juliette Clovis, Flying Vase

Juliette Clovis, Flying Vase

Dopo ‘Draw the raised bridge’ Banksy attraversa l’Atlantico e un nuovo graffito fa la sua comparsa a Manhattan

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 image via Designboom Courtesy Banksy

image via Designboom Courtesy Banksy

Un nome ancora non ce l’ha, anche se ‘Rat’ sembra il più probabile, visto che rappresenta un topo. Di certo per adesso c’è solo che si tratta di un Banksy (ho parlato di lui per esempio qui) originale. Autenticato dallo stesso artista attraverso la pubblicazione sul suo account instagram.

Il piccolo murale è stato completato sull’ orologio in un incrocio di New York (Manhattan, 14th street e 6th avenue, 101 West 14th street). Così posizionato il ratto di Banksy sembra continuare a correre in tondo, incessantemente, ciecamente, come una sfortunata cavia chiusa in gabbia.

L’edificio su cui poggia l’orologio è in pieno centro, dove i passanti corrono con gli occhi fissi sui loro smartphones per raggiungere il luogo di lavoro. Quindi è probabile che il graffito intenda ironizzare sui ritmi di vita innaturali degli abitanti delle grandi città.
Tuttavia le opere di street-art del famoso writer britannico aprono sempre un dibattito sul loro significato. 

‘Draw the raised bridge’ in cui compariva un bambino con uno colapasta metallico a mo’ di  elmetto e una spada giocattolo con una matita applicata alla punta non ha ancora un significato sicuro. Nonostante siano passati quasi due mesi (è l’opera pubblica che precede direttamente il topo di Manhattan), dalla sua comparsa  su un ponte in disuso a Hull (UK). Anche se è opinione diffusa che sia un secondo murale in sfavore della Brexit.
D’altra parte il mistero, come l’ironia, è un pilastro del lavoro di Banksy, che la sua identità continua a tenerla nascosta.

Per leggere le opinioni dei suoi fans sul nuovo murale o seguire il suo lavoro va ricordato che Banksy ha un account instagram. (via Designboom)

 image via Designboom Courtesy Banksy

image via Designboom Courtesy Banksy

Post di Instagram di Banksy * Gen 26, 2018 at 7:45 UTC

RAISE THE DRAWBRIDGE! Hull.

Arriva a Milano la Stonehenge di Jeremy Deller. A grandezza naturale, dissacrante e… gonfiabile

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 image by james hutchinson

image by james hutchinson

‘Sacrilege’ è un’installazione iconica dell’artista concettuale britannico Jeremy Deller esposta per la prima volta a Londra in occasione delle Olimpiadi del 2012. Consiste in una riproduzione gonfiabile in scala 1:1 del sito archeologico Stonehenge (per un totale di 35 metri di diametro). 
E adesso stà per arrivare a Milano.

Al centro dell’opera di Jeremy Deller il rapporto reverenziale degli inglesi con Stonehenge e per estensione di tutti noi con le opere d’arte. Infatti, mentre nel sito neolitico patrimonio dell’UNESCO, i visitatori devono mantenere una certa distanza dalle rocce per esigenze di conservazione, sull’installazione di Deller possono camminare ma anche saltare, giocare e arrampicarsi. Di qui il titolo ‘Sacrilege’ (Sacrilegio), appunto.

L’opera è effimera e vede la partecipazione dei visitatori come parte attiva. Due cavalli di battaglia della poetica dell’artista britannico. Negli anni è stata esposta a Madrid, Parigi, Sydney e Hong Kong.

Vincitore del prestigioso Turner Prize, premiato con Medaglia "Albert" della Royal Societ, Jeremy Deller ha rappresentato la Gran Bretagna alla Biennale di Venezia non molti anni fa e il suo curriculum conta un’interminabile fila di mostre in importanti musei del mondo (per esempio la Tate di Londra, all’Hirshhorn Museum di Washington).

La Stonehenge gonfiabile di Jeremy Deller verrà posizionata al parco City Life di Milano in occasione della fiera d’arte Miart e del Milan Design Week 2018 (dal 12 al 15 aprile). ‘Sacrilege’ è presentata dalla Fondazione Nicola Trussardi, l’evento è curato da Massimiliano Gioni. (via Designboom)

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Zhang Dali, il provocatorio papà della street-art made in Cina, che imparò a fare i murales a Bologna

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 Zhang Dali, AK-47 (H8), 2008, acrylic on canvas

Zhang Dali, AK-47 (H8), 2008, acrylic on canvas

Pittore, scultore, performer ma soprattutto padre della street-art cinese, Zhang Dali è stato il primo artista dopo Keith Haring e Jackson Pollock ad apparire sulla copertina di Times. Ma si è guadagnato anche quella di Newsweek oltre a mostre nei più importanti musei e gallerie del mondo (dal MoMa di New York alla Saatchi Gallery di Londra allo Smart Museum di Chicago). 

Però tutto è iniziato a Bologna nell‘89 dove Zhang Dali ha vissuto e  imparato a fare street-art. Adesso, a oltre 20 anni dalla sua partenza dall‘Italia, Bologna gli dedica ‘Meta-Morphosis’ (dal 23 marzo  al 24 giugno). Organizzata da Fondazione Carisbo e Genus Bononiae. Musei nella Città, è curata da Marina Timoteo e si compone di ben 220 opere (divise in nove sezioni)

L‘esposizione, che ha il sapore dei grandi eventi, si terrà a Palazzo Fava, in pieno centro. Sotto i soffitti affrescati da Annibale Carracci. E sarà la prima antologica italiana di Zhang Dali.

Zhang Dali è il padre della street-art cinese. Che detta così può sembrare una piccola cosa. Ma a Pechino in pieni anni ‘90, quei graffiti  (serie 'Dialogue and Demolition) che apparivano sugli edifici destinati alla demolizione scatenarono un vero putiferio. I media ne parlavano in continuazione, c’era chi proponeva 20 anni di prigione per l‘autore. Ma nessuno sapeva chi era. E il tempo passò finchè quelle opere così provocatorie non si trasformarono in immagini alla moda. Allora Zhang Dali smise di farle.

 Zhang Dali, Dialogue and demolition; Demolition: Forbidden City

Zhang Dali, Dialogue and demolition; Demolition: Forbidden City

La sua è la Cina raccontata dal regista Zhang Yimou prima di convertirsi ai colossal epici. Quella dei quartieri tradizionali che vanno giù per fare spazio ai grattacieli, quella della migrazione incessante e silenziosa dalle campagne alle città. Quella che giorno dopo giorno si è liberata della sua memoria.
Pechino in origine era una capitale imperiale, una città ben strutturata- ha detto in un’intervista pubblicata dal sito Asiancha- Ora, a causa dello sviluppo economico e di vari accordi di potere, è stata completamente distrutta. Quando ho visto la città demolita, ho sentito dolore. Chiunque fosse colto o educato penserebbe a questo problema: cioè, siamo assolutamente spietati a demolire la nostra cultura.”

Meta-Morphosis tratteggia tutto il percorso di Zhang Dali, durante il quale l'artista ha usato medium espressivi diversi e si è soffermato su aspetti differenti del mondo che aveva intorno. 

Ma tutte le serie di opere sono unite da un'accorata riflessione sulla memoria e sulla sua perdita.

 Zhang Dali, A second History, immagine di propaganda maoista

Zhang Dali, A second History, immagine di propaganda maoista

 Zhang Dali, A second History, foto originale dell'evento

Zhang Dali, A second History, foto originale dell'evento

A Second History: Questa serie è costata a Zhang Dali sette anni di lavoro. Sette anni trascorsi negli archivi per accostare le immagini di propaganda (che erano molto in uso dal regime durante il governo di Mao Zedong) alle fotografie originali. "Ho iniziato questa ricerca perché mi chiedevo come esplorare ciò che non è chiaramente visibile- ha detto in un'intervista riportata da Chinaphotoeducationmi chiedevo come entrare nella testa di qualcun altro  (i censori, in questo caso). Il mio progetto fotografico ha rivelato alcune cose inaspettate: la principale, quella propaganda è molto più complessa di quanto sembri. Non si limita a fare un punto politico: ciò che facevano i censori non era semplicemente la falsificazione dei documenti, ma obbedivano anche ai requisiti estetici dell'epoca.  Gli occhi stretti si allargano, le persone che sembrano troppo trasandate nelle scene di campagna venivano cancellate del tutto ".

 Zhang Dali, AK-47 (H8), 2008, acrilico su tela (particolare)

Zhang Dali, AK-47 (H8), 2008, acrilico su tela (particolare)

AK-47: la sigla del kalashnikov, simbolo universale di guerra e sopraffazione, compone i ritratti  pittorici di uomini e donne, svelando la violenza quale elemento integrante e tessuto connettivo delle esistenze.

 Zhang Dali, Slogan, acrilico su tela

Zhang Dali, Slogan, acrilico su tela

Slogan: Di nuovo pittura, semplice e corale nel ripetersi dei volti. Qui gli ideogrammi che compongono gli slogan della Repubblica Popolare rivelano, grazie alle variazioni di scale cromatiche, le foto-segnaletiche di uomini e donne.

 Zhang Dali, Cianotipo su tela

Zhang Dali, Cianotipo su tela

 Zhang Dali, Cianotipo, Bamboo

Zhang Dali, Cianotipo, Bamboo

World's Shadows: realizzata con l’antico processo fotografico della cianotipia, che disegna su tela di cotone o carta di riso delicate ombre umane, animali e vegetali. La cianotipia si realizza applicando un'emulsione sul tessuto che viene successivamente esposto alla luce ultravioletta. Spesso l'artista appoggia direttamente degli oggetti sulla base per far apparire le loro sagome. "Il mondo materiale costruisce e controlla il nostro sistema nervoso e può farci sentire agitati e turbati- commenta l'artista sempre su chinaphotoeducation- Quando manteniamo la calma e la tranquillità, ci rendiamo conto che il mondo sotto il nostro controllo è solo una piccola parte dell'universo, certamente non il tutto. Le ombre che documento esistono solo per pochissimo tempo, ma attraverso la fotografia le catturo, in modo che possano esistere per un tempo molto più lungo, davanti ai nostri occhi e sotto il nostro sguardo. "

 Zhang Dali, Chinese Offspring, installazione

Zhang Dali, Chinese Offspring, installazione

Chinese Offspring: famosa serie di sculture colate in vetroresina dei mingong (i lavoratori migrati dalle campagne verso le grandi città cinesi). Una selva di sculture appese a testa in giù, a significare la mancanza di controllo che queste persone hanno sulla propria vita

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La street-art di Spy che per per 4 giorni ha trasformato Plaza Mayor di Madrid in un prato erboso

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Per il 400esimo anniversario della piazza principale di Madrid, la famosa Plaza Mayor, sono stati organizzati molti eventi (ne ho già parlato qui) tra cui ‘Cesped’ dello street-artist madrileno Spy. Per realizzare il progetto sono stati necessari 35mila metri quadri d’erba, visto che consisteva nel trasformare il centro della grande piazza in un prato. 

 Un perfetto cerchio di erba verde che per quattro giorni ne ha modificato l’uso e l’architettura.

L’installazione è stata posizionata lo scorso autunno e nel brevissimo periodo di permanenza ha visto la bellezza di 100mila visitatori. Ovviamente le persone erano libere di passeggiare, stendersi a prendere il sole o giocare. Proprio come se si fossero trovati in un parco.

L’artista specializzato in arte pubblica Spy, con una carriera ultra-ventennale alle spalle, è madrileno ma molto attivo anche in Italia ed altri paesi europei. I suoi interventi, sempre minimali e concisi, riescono a unire un forte impatto estetico alla sintesi formale ed allo humor.

Per vedere altre opere di Spy conviene dare un’occhiata al suo sito internet mentre per seguire il suo lavoro nel tempo l’account instagram è di sicuro l’opzione migliore. (via Designboom)

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Jannick Deslauriers che scolpisce auto distrutte, barconi e container con tulle, seta e altri tessuti più o meno preziosi

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La canadese Jannick Deslauriers è un’artista tessile. Usa ago e filo come fossero tratti netti di contorno in un disegno, seta, tulle e rete di alluminio come sfumature diverse dello stesso colore. Impresa già di per se difficile, che si complica ulteriormente perché Jannick Deslauriers non lavora su supporti bidimensionali ma vuole che lo spettatore cammini in mezzo alle sue creazioni.

Ultimamente alcune sue sculture riproducono a grandezza naturale soggetti improbabili e piuttosto ingombranti.

E’ il caso di ‘Sentence, souffle et linceul’ (attualmente in mostra alla galleria Art Mûr di Montreal) in cui l’artista ha scolpito con metri di tessuti più o meno pregiati un’automobile ridotta a un rottame. L’immagine è a grandezza naturale e ogni particolare interno o esterno del veicolo è stato riprodotto in maniera minuziosa.

Jannick ora sta trasformando le sue sculture in disegni- spiega il sito web della Deslaurier- delineando i bordi con filo scuro, imitando il contorno a matita di uno schizzo e disponendo i pezzi in prospettiva 3D per creare l'esperienza di camminare attraverso un disegno.”

In questo senso il lavoro della canadese ha molto in comune con Chiharu Shiota. Anche se i soggetti scelti spesso fanno pensare a Takahiro Iwasaki. Curiosamente entrambi questi bravi e famosi artisti sono giapponesi.

Jannick Deslauriers il più delle volte sceglie di rappresentare oggetti pesanti, funzionali, che non hanno niente a che vedere con la leggera bellezza  del tessuto, col senso d’intimità e le promesse che è in grado di evocare. Questo contrasto attira l’attenzione e confonde chi guarda, indeciso se far prevalere le emozioni che scattano di fronte alla violenza nascosta nella forma o lasciarsi stregare dalla mutevole vaporosità dei materiali che la compongono.

Con le sue opere l’artista parla di vari temi d’attualità, delle immagini da cui veniamo bombardati giornalmente ma anche della fragilità degli oggetti. E per estensione della nostra.

Si possono ammirare altre opere di Jannick Deslauriers sia sul suo sito internet che seguendola su Instagram. (via Colossal)

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Le nostalgiche e poetiche statuine di vetro di Meng Du. Colorate con il tè e solo un tantino inquietanti

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 Meng Du, One Day, 2016; Kiln-formed glass, tea, stone clay. All images © Meng Du

Meng Du, One Day, 2016; Kiln-formed glass, tea, stone clay. All images © Meng Du

L’artista cinese Meng Du si è specializzata nella lavorazione del vetro che usa in modo inconsueto e ammanta di nostalgia. In realtà i suoi soggetti non sono, almeno nella maggior parte dei casi, niente di strano (bambine, cerbiatti ecc.), potrebbero anzi sembrare banali e persino stucchevoli. Non fosse che Meng Du li reinventa in modo meticoloso, usando il vetro come un mezzo per fare illustrazione e poesia.
Meng Du usa le tecniche di lavorazione in modo paziente e preciso. A volte sovrappone alle statuette piccoli ninnoli di ceramica. Quasi sempre incide la superficie del vetro con disegni dal sapore infantile e motivi decorativi. 
Da’ molta importanza alla texture. Per colorare le sue sculture di vetro usa il tè.

"C'è una bellezza quieta nel momento in cui si innescano i ricordi personali- spiega Meng Du sul suo sito internet- mi interessa conservare i ricordi e tenerne traccia in modo che non svaniscano nel tempo, voglio anche mostrare i ricordi in decadenza, in modo da commemorarli e mostrare il processo della loro lenta scomparsa dalla nostra coscienza“.

L’artista cinese usa spesso oggetti trovati che incorpora nelle sue sculture. A volte crea installazioni complesse in cui i vari elementi rendono la narrazione ancora più completa e sognante.
"Collezionare e disegnare oggetti trovati sono i modi in cui registro la mia vita, con un istinto naturale a estrarne il significato narrativo -continua- trovo che queste attività siano l'ispirazione del mio lavoro. Incorporo i disegni e le illustrazioni, che provengono dalla mia esperienza di vita personale, nel trattamento superficiale e nelle tecniche di imaging del vetro. Per rappresentare un sentimento di nostalgia e i ricordi di certi tempi e luoghi che non voglio lasciare andare.”

Per vedere altri esempi del lavoro di Meng Du basta consultare il suo sito internet. L’artista ha anche dedicato un progetto alla condivisione delle conoscenze legate al vetro che si chiama ‘Tui Glass Project’.

 Meng Du, One Day, 2016; Kiln-formed glass, tea, stone clay. All images © Meng Du

Meng Du, One Day, 2016; Kiln-formed glass, tea, stone clay. All images © Meng Du

 Meng Du, Through September to April NO.2, 2012; Kiln-formed glass, tea

Meng Du, Through September to April NO.2, 2012; Kiln-formed glass, tea

 Meng Du, Echo form the Highland, 2016; Kiln-formed glass, tea, silver, wood

Meng Du, Echo form the Highland, 2016; Kiln-formed glass, tea, silver, wood

 Meng Du, Echo form the Highland, 2016; Kiln-formed glass, tea, silver, wood

Meng Du, Echo form the Highland, 2016; Kiln-formed glass, tea, silver, wood

 Meng Du, Before the Dawn, 2013; Kiln-formed glass, tea, mixed media

Meng Du, Before the Dawn, 2013; Kiln-formed glass, tea, mixed media

 Meng Du, Flowing Scenery, Chinese ink on paper

Meng Du, Flowing Scenery, Chinese ink on paper

 Meng Du, Bay, Kiln-formed glass, mix-media, tea

Meng Du, Bay, Kiln-formed glass, mix-media, tea

 Meng Du, Through September to April NO.2, 2012; Kiln-formed glass, tea

Meng Du, Through September to April NO.2, 2012; Kiln-formed glass, tea


Un po’ nostalgiche un po’shocking le psichedeliche Dolomiti agli infrarossi di Paolo Pettigiani

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25 anni torinese, fotografo e graphic designer, Paolo Pettigiani stà facendo il giro del mondo con la sua serie di immagini 'Infrared Dolomites'. Delle psichedeliche Dolomiti trasfigurate con lenti agli infrarossi.

Degli scatti che sono diventati virali, un po’ perché le foto agli infrarossi piacciono, un po’ perché la bellezza austera della catena montuosa ne esce ridisegnata. Anzi ricolorata ma con toni tanto accesi da sembrare uscita da una pubblicità di caramelle. E’ soprattutto il rosa carico delle pinete, succoso come la polpa di un’anguria matura, a dare il tono a queste immagini.

La fotografia a infrarossi che elabora le lunghezze d’onda invisibili della luce è stata a più riprese utilizzata da diversi autori in diversi luoghi. Per esempio Pierre-Luis Ferrer (di cui ho parlato qui) l’ha usata per fare un ritratto di Parigi sospeso e primaverile. Paolo Pettigiani, invece, ne aveva già sfruttato le potenzialità per la sua serie dedicata a Central Park.

Gli scatti delle Dolomiti tuttavia hanno un carattere diverso, combattuto tra la nostalgia di vecchie cartoline scolorite e il vigore della vita che si rinnova. E le montagne ne escono come un luogo magico, in cui il timore riverenziale negli occhi dell’osservatore, lascia spazio a uno stupore carico di fiducia. E solo vagamente venato di malinconia.

Per vedere altre fotografie di Paolo Pettigliani si può ricorrere al suo sito internet come pure agli account Behance e Instagram. (via Colossal)

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Karen Margolis che buca, brucia, ricama e fa disegni miniati su dei fogli di carta di banano

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Le composizioni dell’artista statunitense Karen Margolis ricordano gruppi di cellule viste al microscopio, distese di minuscole muffe colorate, coralli.  Di fatto sono opere astratte, ma la Margolis, con una solida formazione scientifica (è laureata in psicologia), mixa queste suggestioni di un universo piccolo-piccolo con quelle di un cosmo lontano e punteggiato di stelle.

La cosa più interessante tuttavia resta la tecnica paziente e minuziosa che Karen Margolis usa per raggiungere il risultato. L’artista, infatti, prima riduce la carta a un trine, ricoprendola di buchi circolari, bruciature, poi dipinge motivi minuscoli e ripetuti. A volte mette dei particolari a collage. E collega vuoti e pieni ricamando. 
Spesso usa fogli di carta di Abaca (che è un tipo di banano).

Nella serie ‘Integration’ si è persino inventata una scala cromatica delle emozioni, dove a ogni colore corrisponde uno stato d’animo. E in questo senso le sue opere possono essere lette come autoritratti psicologici. 

I cerchi poi, che nelle sue opere si ripetono incessanti, sono un simbolo di perfezione che la Margolis collega alla fascinazione che prova per la filosofia buddista.

"Cerco il tessuto connettivo che metta in relazione l'universo e il mondo microscopico- dice- l'ho trovato nel cerchio, perché collega tutto, essendo il componente più basilare dell'universo. Il cerchio si ripete in natura così come nei simboli religiosi rappresenta l'infinito, la perfezione e la totalità ".

Karen Margolis ha esposto in numerosi musei (soprattutto negli Stati Uniti). Adesso è impegnata nella personale ‘Garden of Mutei’ alla galleria Garis & Hahn di Los Angeles (fino al 12 maggio 2018) ma per vedere altre sue opere senza fare tanta strada ci sono sempre il sito internet dell’artista e l’account instagram. (via Creativeboom)

 Cathexis Karen Margolis Cathexis, 2017 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 24”x18” Courtesy of the artist and Garis & Hahn

Cathexis Karen Margolis Cathexis, 2017 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 24”x18” Courtesy of the artist and Garis & Hahn

 Cathexis Karen Margolis Cathexis, 2017 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 24”x18” (particular) Courtesy of the artist and Garis & Hahn

Cathexis Karen Margolis Cathexis, 2017 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 24”x18” (particular) Courtesy of the artist and Garis & Hahn

 Extravasate Karen Margolis Extravaste, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 58”x 44” Courtesy of the artist and Garis & Hahn

Extravasate Karen Margolis Extravaste, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 58”x 44” Courtesy of the artist and Garis & Hahn

 Extravasate Karen Margolis Extravaste, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 58”x 44” (particular) Courtesy of the artist and Garis & Hahn

Extravasate Karen Margolis Extravaste, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 58”x 44” (particular) Courtesy of the artist and Garis & Hahn

 Impedos Karen Margolis Impedes, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 14”x11” Courtesy of the artist and Garis & Hahn

Impedos Karen Margolis Impedes, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 14”x11” Courtesy of the artist and Garis & Hahn

 Impedos Karen Margolis Impedes, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 14”x11” (particular) Courtesy of the artist and Garis & Hahn

Impedos Karen Margolis Impedes, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 14”x11” (particular) Courtesy of the artist and Garis & Hahn

 Believer Karen Margolis Believer, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 30”x22” Courtesy of the artist and Garis & Hahn

Believer Karen Margolis Believer, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 30”x22” Courtesy of the artist and Garis & Hahn

 Believer Karen Margolis Believer, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 30”x22” (particular) Courtesy of the artist and Garis & Hahn

Believer Karen Margolis Believer, 2018 watercolor, gouache, maps, thread on Abaca paper 30”x22” (particular) Courtesy of the artist and Garis & Hahn

La street art di Tellas che porta un brulicante mondo costiero sui muri delle città

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Nella street art di Tellas ci sono foglie e fiori, sagome di brulle colline riarse dalla calura ma anche e soprattutto un brulichio di vita ondeggiante. Forse sono banchi di minuscoli pesciolini, forse alghe che si agitano sott’acqua o semplicemente prati mossi dalla brezza della primavera. Chissà. Tutto è riconoscibile ma stilizzato quel tanto che basta da consegnarlo alla fantasia dell’osservatore. 

Nato a Cagliari nell’87, Tellas, una bella soddisfazione se l’è già tolta: nel 2014 l’edizione statunitense dell’Huffington Post l’ha inserito tra i 25 street-artists più interessanti del mondo. Ha anche collaborato con Marni. Dipinge e fa installazioni anche se il suo piatto forte, per ora, sono i grandi murales caratterizzati da pattern dove i vuoti mancano o quasi. Gli elementi ricorrenti che li compongono sono naturali ma stilizzati. Usa pochi colori (in genere: uno, due, tre al massimo per pezzo), i toni sono in linea con le tendenze del design.
Insomma la street-art di Tellas porta sui muri del mondo ricordi del paesaggio costiero sardo che si traducono in grandi opere in bilico tra l’astrattismo e il design di tessuti (o tappezzerie) glamour.

Un elemento interessante del lavoro dell’artista è l’attenzione che mette nel localizzare i suoi murales. Se si tratta di pareti immerse in un paesaggio naturale cerca di fondere le opere con i colori circostanti. O meglio di usarle per sottolineare la bellezza del paesaggio. Nei contesti urbani si ispira a eventi metereologici ricorrenti (la neve nelle zone fredde) ai colori prevalenti dell’architettura o all’azzurro del cielo in una giornata tersa.

Una delle sue ultime opere d’arte pubblica si chiama ‘Tropicalism’ ed è stata realizzata a Galatina nel Salento (progetto curato ViaVai Project). In questo caso le sagome delle foglie delle palme pugliesi sono state realizzate in nero o grigio per giocare col fondo bianco degli edifici tipici.
Per vedere altre opere di Tellas si può scorrere il suo sito internet o dare uno sguardo al suo account instagram

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Tutto lo spirito epico dello sport nelle vertiginose moltitudini di atleti fotografati da Pelle Cass

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Il fotografo statunitense Pelle Cass crea immagini che evocano gli antichi dipinti di battaglie o moti rivoluzionari. Nei suoi scatti ci sono centinaia di persone che nel muoversi creano complesse composizioni di corpi. 
In particolare la serie ‘Crowded Fields’ dedicata agli eventi sportivi riporta alla mente l’epica somma di gesta e tensioni comuni o contrapposte delle tele conservate nei musei.

Tutt’altro che istintive le immagini di Pelle Cass sono frutto di un lavoro certosino. Il fotografo infatti prima congela decine e decine di istanti (nel corso di una o due ore di spettacolo sportivo scatta oltre mille foto) e poi li assembla tra loro. Per farlo usa fino a 500 livelli di Photoshop ma  senza spostare mai nessuna figura dalla posizione originale ne dalla posizione in cui si trovavano al momento in cui la foto è stata scattata. Insomma un gioco a incastro da decine di ore di lavoro dietro allo schermo di un computer.

"Scorro su e giù, più e più volte, alla ricerca di figure che ritengo interessanti- ha spiegato Pelle Cass al blog Colossal- È un po 'come Tetris al rallentatore, cercando di adattarsi a varie forme in vari spazi. Poi, con un po 'di fortuna, un complesso di coincidenze o un tipo di gesto o idea spaziale, cominciano ad emergere. "

Cass fa fotografie da oltre 50 anni e la sua tecnica si è affinata nel tempo. L’idea di trasformare gli eventi sportivi in affreschi carichi e complessi è arrivata a maturazione dopo 10 anni di evoluzione. 

Le fotografie di Pelle Cass sono attualmente in mostra al New Mexico Museum of Art (‘Shifting Light: Photographic Perspectives' fino a ottobre) ma anche chi non avesse in programma un viaggio così impegnativo potrà vedere altre sue immagini sul sito web o su Instagram. (via Booooooom)

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Etherea| Edoardo Tresoldi ha costruito una città sospesa al Coachella Music Festival. Per contemplare il cielo durante le canzoni di Beyoncé

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 Edoardo Tresoldi, Etherea. All photos ® Roberto Conte

Edoardo Tresoldi, Etherea. All photos ® Roberto Conte

'Etherea’ sopravviverà solo fino al prossimo fine settimana. Ma nei giorni lavorativi non sarà possibile visitarla. Eppure l’installazione in rete metallica realizzata dall’artista milanese Edoardo Tresoldi per il Coachella Valley Music and Art Festival 2018 a Indio (California) farà il bagno di folla lo stesso. 

E mentre Beyoncé, Eminem, The Weeknd, David Byrne, alt-J e Fleet Foxes si alterneranno sui palchi, gli spettatori potranno guardare le nuvole dalle cupole trasparenti di una città barocca che fluttua nel deserto.

Edoardo Tresoldi a trent’anni soltanto è stato inserito da Forbes nella ristretta rosa dei 30 artisti europei più influenti. Le sue installazioni in rete metallica in cui mixa architettura e scenografia, contemporaneità e storia, sono conosciute in tutto il modo. Basti pensare che solo lo scorso anno ne ha realizzata una per i reali di Abu Dhabi (ne ho parlato qui).

Ma con ‘Etherea’ si è superato. Infatti, l’opera è la più grande realizzata finora da Tresoldi e la più imponente del Coachella Valley Music and Art Festival, che dal 2009 commissiona ad artisti internazionali sculture monumentali per le sue vaste aree all’aperto.

Si tratta di una piccola città sospesa che, riflettendo sull’uso della prospettiva nella pittura e nell‘architettura italiana nei secoli passati, concretizza un’atmosfera di sogno e irreale contemplazione della bellezza della natura californiana: “L’installazione è composta da tre sculture trasparenti ispirate alle architetture barocche e neoclassiche, dalle forme identiche ma di dimensioni diverse, disposte assialmente secondo altezze crescenti di 11, 16,5 e 22 metri. (…) Il gioco ottico di prospettive e rapporti dimensionali, generato dal passaggio attraverso le tre sculture e le tre scale di misura, riduce o amplifica la distanza tra uomo e cielo grazie alla trasparenza della rete metallica”.

Il Coachella Valley Music and Arts Festival quest’anno ospita sette grandi opere d’arte contemporanea realizzate da autori per la maggioranza statunitensi (oltre all’italiano Edoardo Tresoldi, ci sono NEWSUBSTANCE del Regno Unito, Simon Vega di El Salvador, gli R & R Studios- Argentina / USA e gli americani Randy Polumbo, Adam Ferriss, Katie Stout). Il concerto si è svolto lo scorso fine settimana (13- 15 aprile) e si ripeterà il prossimo (20-22 aprile).

L’installazione di Edoardo Tresoldi allo spegnersi dell’ultima luce del festival verrà smontata e tornerà a vivere solo nel regno della memoria oltre che nelle fotografie e nelle riprese video del Coachella Valley Music and Arts Festival.

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